La vicenda dei fondi neri dell’ex premier Silvio Berlusconi non finisce mai. In questi giorni i giornali italiani hanno dato molto spazio all’ennesimo tentativo dei legali di Berlusconi di una revisione dell’unico processo dei tanti nella storia giudiziaria del fondatore di Forza Italia a essersi concluso con una condanna penale per frode fiscale passata in giudicato e che dimostrava un sofisticato giro di false fatturazioni con cui Mediaset gonfiava il pagamento dei diritti televisivi. Dopo qualche anno da quella condanna, Berlusconi è però tornato pienamente nell’arena politica, ottenendo anche l’elezione al parlamento europeo, e il rinnovato sostegno del Partito popolare. Alla riconciliazione politica si continuano a sommare vicende che potrebbero riscrivere quella giudiziaria. Perché Berlusconi non si è mai rassegnato a subire l’onta di quella condanna. Ma non è il solo a considerare la vicenda dei fondi neri ancora aperta.

Due storie parallele

A febbraio di quest’anno il tribunale civile di Milano ha respinto la richiesta di Berlusconi di riavere indietro 113 milioni di euro da Frank Agrama, il produttore americano di origine egiziana che il processo Mediaset ha individuato come «un intermediario di comodo» di Berlusconi, beneficiario di una fitta rete di società di comodo tra gli Stati Uniti, Hong Kong e diversi paradisi fiscali che detiene ancora fondi in Svizzera, presso la banca Ubs di Lugano. Ma ha anche giudicato il suo ruolo in maniera diversa: Agrama sarebbe stato un intermediario vero e non un semplice prestanome.

Quest’estate poi è stato diffuso un audio dello scomparso giudice Amedeo Franco, in cui il giudice definiva il collegio che ha condannato Berlusconi, di cui lui ha fatto parte «un plotone di esecuzione» e che ora potrebbe essere usato dalla difesa dell’ex premier. Ma mentre tutto questo succedeva e Mediaset cercava di riavere indietro almeno parte del tesoro di Agrama, fuori dall’Italia su quegli stessi fondi si combatteva una parallela battaglia giudiziaria, molto poco raccontata, ma combattuta colpo su colpo dai legali di Agrama e iniziata quando nel 2016 il fisco americano ha inviato una richiesta di collaborazione alle autorità svizzere.

I documenti che Domani ha potuto visionare dimostrano che quei fondi sono stati movimentati. Almeno una società della complessa struttura messa in piedi da Agrama è stata cancellata, mentre le autorità statunitensi richiedevano senza ottenerla la documentazione raccolta e analizzata dai consulenti della procura di Milano e i legali del produttore continuavano a opporsi alle autorità fiscali statunitensi e svizzere, sostenendo che le indagini fossero illegittime.

Mr Agrama

Farouk “Frank” Agrama, meglio noto come “Mr. Agrama”, secondo la Corte di Cassazione, era un «intoccabile» nella struttura che gestiva il business strategico della compravendita dei diritti Mediaset. Agrama, dicono i giudici, «è una figura indiscutibilmente complessa (al pari dei suoi intrecci finanziari)». Poteva vantare un rapporto diretto con «il dominus Berlusconi» che secondo i giudici gli consentiva «la cognizione complessiva del meccanismo fraudolento (del rigonfiamento dei prezzi sui diritti televisivi, ndr) e della sua finalità condivisa negli anni». In soli quattro anni, dal 1994 al 1998, Fininvest–Mediaset hanno acquisito diritti tramite le società di Agrama per 199,5 milioni di dollari, per una maggiorazione complessiva di 135 milioni di dollari, di cui alle società di Agrama secondo le prime analisi dei consulenti della procura di Milano sarebbero andati 54,9 milioni. Tracciare questi fondi tramite il complesso sistema di specchi costruito dal “produttore” americano è però impresa difficilissima. Anche la sentenza del 2013 la Cassazione rileva «l’estrema complessità e difficoltà nel seguire tutti i rivoli che si dipartivano dai conti di Agrama e delle sue società e della sostanziale impossibilità di identificarli tutti». E i giudici si limitano a constatare che «gli stessi anomali flussi finanziari che provengono dalle società di Agrama sono la migliore prova del sodalizio criminale inteso ad evadere le imposte, drenare liquidità e creare ingenti fondi esteri e maggiorazioni in alcun modo giustificabili».

L’errore del condono

L’errore di Frank Agrama è aver deciso di vivere a Los Angeles e soprattutto nel 2009 aver pensato di avvalersi assieme alla moglie di una voluntary disclosure per mettere teoricamente in regola la sua posizione con il fisco statunitense. Ma nei documenti consegnati alle autorità americane si è dimenticato di dire che era sotto indagine in Italia per frode fiscale.

Nel gennaio 2016, quando Berlusconi è già decaduto dal ruolo di senatore per la condanna nel processo Mediaset, dall’altra parte dell’Atlantico, Agrama riceve ben diciannove notifiche dall’Internal revenue service americano (Irs) che sostengono che le sue dichiarazioni fiscali per gli anni dal 1982 al 2014, quindi per più di trent’anni, non sono in regola. Le notifiche si concentrano anche sui suoi capitali all’estero, fondi di cui, nonostante le risultanze del processo italiano, gli Agrama sostengono di non essere i proprietari-beneficiari.

La prima reazione è chiedere un accesso agli atti per capire le informazioni in possesso dall’Agenzia delle entrate degli Stati Uniti. L’Irs gli mette a disposizione 3.590 pagine di documenti e altre 118 solo in parte, ma mantiene riservate oltre mille pagine e 15.150 documenti aggiuntivi che se rivelati, si legge nel documento della Corte federale del district of Columbia, avrebbero potuto interferire con l’indagine fiscale.

185 milioni di dollari

Il 24 ottobre del 2019 James Pack, un funzionario del fisco statunitense che si occupa della sezione piccole imprese e lavoratori autonomi e del programma esecuzioni speciali in California, rilascia una lunga dichiarazione sul caso Agrama. Pack spiega che dalle indagini dell’Irs risulta che dalle dichiarazioni degli Agrama mancano secondo i loro calcoli 185 milioni di dollari di profitti.

In quella dichiarazione Pack ricorda passo passo tutti i risultati dei processi italiani sui fondi neri di Mediaset. Il funzionario sta lavorando al fascicolo Agrama da più di quattro anni, da gennaio del 2015. Pack spiega anche che quando nel 2018 è stato convocato dalle autorità statunitensi per portare carte e documenti utili alle verifiche fiscali per provare la correttezza della sua posizione, Agrama non si è presentato. E non ha mai nemmeno presentato i documenti ottenuti dall’Italia tramite rogatoria all’estero. Tanto che nell’aprile 2020, due mesi dopo che il tribunale civile di Milano ha bocciato la richiesta di risarcimento di Berlusconi nei suoi confronti, la Corte di Los Angeles emette un ordine di comparizione.

Il fisco americano, dopo aver appreso della condanna italiana, ha esteso le indagini nei suoi confronti, riepilogando anche il sistema di compravendita dei diritti cinematografici. In breve: Agrama acquista i diritti prima dalla Paramount e li rivende a prezzi gonfiati ad alcune società straniere, una è la Principal Network Ltd alle Isole Vergini britanniche e una l’International Media Services di Malta, società che secondo la sentenza italiana erano riconducibili agli interessi di Berlusconi, che a loro volta li rivendono ad altre aziende come Mediaset, in un circuito che permette all’ex premier italiano di occultare i profitti.

Il giro di false fatture coinvolge anche due società di Hong Kong, la Harmony Gold e la Wiltshire Trading e poi la società delle Antille olandesi Melchers Ltd e due società con base in Irlanda, Meadowview Overseas Ltd e Olympus trading.

Dal 1992, Agrama affida la gestione della maggioranza di queste società a due prestanome, due cittadine di Hong Kong che verranno coimputate con lui nei processi italiani, Paddy Chan Mei–Yiu e Katherine Hsu May-chun.

Al fisco americano che implacabile gli chiede di pagare anche per i profitti di quelle società, Agrama dice che non è lui il proprietario, e che quindi i soldi non rientrano nella giurisdizione americana. Si tratta di una versione che è stata dibattuta anche nei procedimenti italiani e che è stata smentita dai documenti raccolti dalla procura di Milano.

Il report Chersicla

Durante il processo milanese sono stati analizzati sia accordi riservati che provavano che lui fosse il vero beneficiario delle società sia documenti “ufficiali” a sostegno della sua tesi, documenti che secondo i consulenti della procura si «collocano in quella che è la rappresentazione esterna dei rapporti tra Agrama e queste società».

Negli Stati Uniti Agrama accusa le autorità fiscali di avere aperto l’indagine sulla scorta del «report Chersicla», basato secondo lui su documenti acquisiti in maniera illecita. Gabriella Chersicla è una nota commercialista e revisore contabile, che ricopre e ha ricoperto ruoli nei board e nei collegi sindacali di aziende come Parmalat, Snam, Mps, Rcs, dopo aver guidato la divisione forense di Kpmg Italia. Fu lei ad analizzare per la procura di Milano i documenti su Agrama, le sue società e i suoi conti bancari ottenuti grazie alle rogatorie internazionali, producendo una corposa consulenza con centinaia di documenti allegati, quelli che il fisco americano aveva chiesto al suo contribuente. Tra questi documenti ci sono gli elenchi delle società di Agrama, ma anche la risposta che le società prestanome di Hong Kong dettero al alle autorità locali durante un accertamento fiscale.

Tappa a Hong Kong

Anche le autorità fiscali di Hong Kong sono interessate ai profitti di Agrama e a capire se le tasse su quei profitti spettano a loro. Le domande che gli rivolgono sono molto dettagliate e così anche le sue risposte. La bozza che la sua prestanome Paddi Chan prepara per la commissione per i controlli fiscali dell’ex colonia britannica, siamo nell’ottobre 2003, dice che la società Harmony Gold non ha personale a Hong Kong o all’estero, che le vendite e gli acquisti sono gestiti tutti da una società che ha rappresentanza legale, la Agrama film, i cui uffici si compongono di dieci posizioni e occupano tre quarti di un piano, a Sunset Boulevard, Los Angeles, all’indirizzo della società Harmony Gold Usa Inc. Insomma, Agrama a Hong Kong dichiara che i profitti sono fatti tutti negli Stati Uniti. Una informazione preziosa per il fisco americano.

Ma i documenti ottenuti da Hong Kong sono importanti anche per altri motivi. Per esempio raccontano la distruzione di due armadietti e 22 scatole porta documenti inviate dagli Stati Uniti a Paddi Chan.

Sono gli stessi per cui sostiene di essersi mosso l’ex senatore Sergio De Gregorio, cioè il senatore a cui Berlusconi dette tre milioni di euro per farlo passare al centrodestra e far cadere il governo di Romano Prodi, reato confermato dalla Cassazione ma per cui Berlusconi fu prescritto. De Gregorio ha dichiarato pubblicamente di aver cercato di ostacolare la collaborazione tra l’Italia e le autorità di Hong Kong.

La difesa di Agrama sostiene che il rapporto Chersicla, letto in aula durante il processo Mediatrade, sarebbe basato a sua volta su documenti che gli erano stati sequestrati durante una indagine dell’Fbi del 2006 durante la quale c’erano state delle violazioni delle procedure. Ma questa ricostruzione è smentita dalla corte federale americana che il 20 dicembre 2020, appena sei mesi fa, ha rigettato le argomentazioni di Agrama.

Le società offshore

Tutti i protagonisti di questa storia, che si tratti dei legali di Berlusconi passati alla ricerca di possibili risarcimenti o il fisco americano alla ricerca di tasse evase, cercano i soldi. E allora bisogna spostarsi in Svizzera, dove Agrama ha ancora i suoi conti collegati ad alcune società offshore.

Sospettando gli Agrama di frode fiscale e di aver utilizzato i conti svizzeri per occultare i profitti fatti all’estero e mai dichiarati negli Stati Uniti, il fisco statunitense ha chiesto già nel dicembre 2016 la collaborazione dei colleghi dell’Autorità federale dei contributi elvetica. Ma la richiesta ufficiale presa in esame dalla giustizia svizzera è del 2017: gli americani ne hanno inviata una seconda specificando le informazioni riservate dell’indagine che non vogliono vengano divulgate. Anche al fisco svizzero Agrama ha ripetuto di non essere il proprietario delle società su cui indagano gli Stati Uniti. In Svizzera gli Agrama e le quattro società collegate ai conti svizzeri hanno fatto ricorso contro il tribunale amministrativo federale a dicembre 2018.

Leggendo i documenti svizzeri si scoprono molti dettagli. Per esempio che il ministero della Giustizia elvetico ha già distrutto tutti i documenti su una precedente causa giudiziaria riguardante Agrama. E che per un periodo Agrama ha continuato ad avere accesso ai conti, da cui sono stati fatti trasferimenti in denaro a società offshore tanto che secondo gli americani potrebbero essere stati usati perfino per pagare l’ammenda legata alla voluntary disclosure poi saltata. Il rapporto Chersicla aveva già appurato che nel periodo 2005–2006 circa 30 milioni di dollari erano stati fatti uscire dai conti accesi presso la banca Ubs di Lugano e riferibili alla società Melchers e dirottati verso Hong Kong, da dove erano stati trasferiti in più tranche alla Bank of the West, negli Stati Uniti e poi trasferiti ancora.

Anche con la giustizia elvetica, Agrama insiste a contestare ripetutamente il rapporto Chersicla e ancora una volta le sue obiezioni sono ritenute infondate. Il suo ricorso al tribunale federale amministrativo svizzero ottiene solo la riduzione di un anno del periodo di scambio delle informazioni tra Svizzera e Stati Uniti, che così viene limitato ai quindici anni che vanno dal 1998 al 2013, per il resto si deve accontentare di pagare le spese legali.

Assieme alla famiglia Agrama a perdere i ricorsi contro la giustizia amministrativa svizzera ci sono quattro società. C’è sempre la Harmony Gold di Los Angeles, la Wiltshire trading Ltd e la Melchers Ltd di Hong Kong e poi la Renata Investment Ltd, società che compare in diversi database di inchieste sull’elusione fiscale, collocata alle Barbados o alle Seychelles.

I conti in Svizzera

Dopo la prima sconfitta, però, non si arrendono e contro la decisione della giustizia amministrativa si rivolgono direttamente al tribunale federale svizzero. E però secondo l’ultima sentenza che risale a novembre 2020, i legali delle società e degli Agrama non portano però a sostegno della loro tesi – sempre la stessa e cioè che tutta l’indagine si basa su documenti ottenuti illecitamente del processo Mediatrade con violazioni gravi delle procedure – alcuna prova o documento.

«Le argomentazioni dei ricorrenti non dimostrano che il tribunale amministrativo federale avrebbe violato il diritto o valutato arbitrariamente i fatti, loro si accontentano di presentare la loro propria interpretazione del diritto e dei fatti. Una tale argomentazione non è sufficiente a dimostrare che il procedimento all’estero violerebbe dei diritti fondamentali», scrivono i giudici svizzeri nella sentenza del 4 novembre 2020 di cui ha dato notizia il portale svizzero Gotham City, ripreso in Italia da La Stampa. E ancora: «Come ha già rilevato il tribunale amministrativo federale, i ricorrenti allungano sospetti puramente teorici e presentano la loro propria versione degli avvenimenti, senza spiegare in maniera chiara e precisa in che cosa consisterebbero i vizi gravi che obiettano».

Lo studio legale che a Lugano rappresenta gli Agrama e le quattro società offshore, rispettivamente con gli avvocati Raffaele e Paolo Bernasconi, non ha risposto alle nostre richieste di commento.

Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi ha spiegato che le indagini del fisco americano su Agrama non c’entrano nulla con la vicenda dei fondi neri Mediaset per cui Berlusconi è stato condannato.

C’è tuttavia da segnalare che la Wiltshire compare anche in uno dei contratti chiusi con Mediatrade-Rti analizzati molto tempo fa dalla consulente della procura di Milano. Wiltshire aveva, infatti, pagato la licenza di un film per 150mila dollari e l’aveva ceduta a Mediatrade-Rti per un periodo inferiore e per 100 mila dollari in più.

Consultando il registro delle imprese britannico, poi, si scopre che la Wiltshire Trading Ltd e la prestanome di Agrama, Paddy Mei Yiu Chan, sono state insieme soci della società londinese Wiltshire Trading Uk, che si occupava di broadcasting e programmi televisivi e che è stata dissolta nel 2015, cioè in quel limbo di tempo tra la fine del processo Mediatrade e la decadenza di Berlusconi e l’invio delle richieste del fisco americano alla Svizzera, per le quali sei mesi fa sono caduti tutti gli ostacoli. E così la lunga storia dei fondi neri di Mr. Agrama non è ancora finita.

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