Sull’energia la linea di Meloni è in piena continuità col governo uscente, e non solo perchè il dossier è nelle mani dell’ex ministro Cingolani. La priorità, dice la premier in aula, è «mettere un argine al caro energia e accelerare in ogni modo la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale». Sulla prima la soluzione praticamente obbligata per il nuovo governo è confermare tutto quello che ha fatto il vecchio, anche con l’estensione di misure come il taglio delle accise costose e non mirate: «Sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese, sia sul versante delle bollette sia su quello del carburante».

Gas e rinnovabili

Sulla seconda, è confermato il doppio binario: lotta fondamentale alla burocrazia e investimenti nelle rinnovabili, ma anche estrazione del gas nostrano. Il ministro uscente ha insistito per settimane, non ottenendo risultati con bandi andati a vuoto, e ora insiste la premier: «I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno». La premier ha esplicitato anche un punto fermo della sua linea - e di quella di Draghi- cioè il legame tra rispetto degli impegni internazionali, in questo caso l’appartenenza alla Nato e la difesa dell’Ucraina - con i negoziati sulla crisi energetica: «Soltanto un’Italia che rispetta gli impegni può avere l’autorevolezza per chiedere che gli oneri della crisi siano suddivisi in modo più equilibrato».

Contro gli oligarchi, ma anche quelli di stato?

La continuità però finisce qui, almeno a parole. Sugli altri dossier industriali Meloni torna a usare le parole di Fratelli d’Italia: proprietà pubblica delle reti «a partire da quella delle comunicazioni», dice parlando di Tim a Borse aperte, e poi clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale, per le concessioni di infrastrutture pubbliche, cioè Aspi e le altre autostrade perché «il modello degli oligarchi seduti su dei pozzi di petrolio ad accumulare miliardi senza neanche assicurare investimenti non è udegno di una democrazia occidentale».

Poco importa che le concessioni sono scritte dal governo e che tra gli oligarchi al momento ci siano Cdp, cioè sempre il governo, e i fondi suoi soci.

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