Neanche il tempo di decidere il riordino dei ministeri e le loro deleghe che il neo governo di Mario Draghi si trova già confezionato uno dei più complicati grovigli tra pubblico e privato da sbrogliare.

Con l’ufficializzazione del consiglio di amministrazione di ieri, per la prima volta Tim ha deciso di presentare una lista per il rinnovo del suo consiglio di amministrazione che comprende anche gli azionisti di minoranza e quindi anche la Cassa depositi e prestiti, controllata dal Tesoro. Formalmente si tratta di una procedura tipica delle società a partecipazione diffusa, ma Tim non si era mai avvalsa di questa opzione. In questo caso significa nominare Giovanni Gorno Tempini, cioè il presidente di Cdp, società azionista – e presto azionista di maggioranza – di Open Fiber, concorrente di Tim sul mercato all’ingrosso della fibra e l’azienda che con Tim ha in corso una due diligence incrociata per la creazione della rete unica.

Tim spiega la scelta come una questione di opportunità. Cassa depositi e prestiti ormai salita al dieci per cento dell’azionariato (9,8) non era rappresentata direttamente. Il Movimento 5 stelle, uno degli “azionisti” del governo Draghi, battagliava da giorni per far valere la partecipazione, a maggior ragione perché pagata – per circa il cinque per cento – quando le azioni della società valevano più di ottanta centesimi, e più di cinquanta per la quota restante. In nome della regia pubblica del progetto, i grillini avevano anche ipotizzato la presentazione di una lista autonoma di Cdp. Ieri, però, i deputati delle commissioni trasporti e finanze si sono detti soddisfatti anche dalla soluzione trovata dalla società telefonica. In una nota hanno definito la nomina di Tempini «una buona notizia». E hanno suggerito al nuovo ministro dell’Economia, Daniele Franco, di muoversi rapidamente: «Deve indicare al più presto un percorso chiaro» e lo stato deve avere «un ruolo centrale nel progetto».

La scelta di Rossi

Il presidente di Tim, Salvatore Rossi, – direttore generale della Banca d’Italia prima che lo diventasse l’attuale ministro Franco che peraltro da Banca d’Italia ha portato parte della sua squadra – sembra puntare, intanto, alla pax telefonica: a mettere fine ad anni turbolenti, segnati dalla contrapposizione tra i francesi di Vivendi, già in guerra con Mediaset, e Elliott, e a confermare l’impegno nel progetto della rete unica così come pensato dal governo precedente. Quindi con la maggioranza della società al 50,1 per cento in capo a Tim.

La partecipazione di Cdp nella società risale all’aprile 2018, quando l’allora amministratore delegato della Cassa, Claudio Costamagna, era intervenuto anche in funzione anti Vivendi e con in testa un progetto di rete unica che vedeva Tim fortemente contraria. Da allora molti equilibri sono cambiati e gli assetti finanziari della grande operazione hanno preceduto le scelte industriali.

L’intesa sulla rete unica, prevede, infatti, la nascita di AccessCo, una società con due gambe destinate a unirsi: da una parte OpenFiber e dall’altra Fibercop.

Fibercop è stata costituita a novembre, partecipata da Tim (al 58 per cento), da Fastweb e, tramite la società lussemburghese Teemo, dal fondo Kkr, di cui è stato consulente proprio Costamagna, oltre che l’ex responsabile dell’agenda digitale Piacentini. Operativa da marzo, in vista della nascita della rete unica, il perimetro di Fibercop potrebbe cambiare con l’attribuzione di altri asset, cioè rete, dipendenti e debito di Tim.

Entro giugno, intanto Enel dovrebbe ultimare la vendita della metà di Open Fiber al fondo australiano Macquarie. Consigliato dall’ex Enel Fulvio Conti e dall’ex Open Fiber Tommaso Pompei, Macquarie l’ha valutata 2,65 miliardi: una cifra al di sopra delle stime degli analisti e otto volte il patrimonio a bilancio della società. Prezzi che hanno fatto desistere la stessa Cdp, che aveva il diritto di prelazione, e che punta comunque a trovare un accordo sulla governance con il fondo australiano e ad avere la maggioranza guardando ad AccessCo.

Il ruolo di Cdp

Per l’eventuale fusione delle due società, c’è in corso anche una due diligence, cioè una valutazione condotta da advisor esterni che per ora si sta concentrando sugli aspetti tecnici, ma dovrà affrontare anche quelli finanziari. Non è chiaro in che ruolo Gorno Tempini, presidente di Cdp equity e consigliere di Tim, possa affrontare il groviglio. Lo stesso vale per il neo ministro Daniele Franco che deve decidere del prossimo cda di Cdp. E oltre agli interessi della Tim di Rossi, e di Open fiber, è circondato anche da quelli dei partiti della maggioranza, dai Cinque stelle a Forza Italia di Berlusconi che con Vivendi ha conti aperti. Soprattutto il neo premier Mario Draghi in parlamento ha promesso concorrenza e descritto uno stato che utilizza le leve della spesa «per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione». Ecco il suo primo banco di prova.

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