I riformisti e conservatori europei (Ecr), cioè il blocco conservatore al Parlamento europeo di cui è leader dal 2020 la premier Giorgia Meloni, ha reso pubbliche le strategie della destra sul futuro di Putin e di Mosca, in un seminario di martedì scorso a Bruxelles intitolato "Prospettive per decolonizzare e deimperializzare la Federazione Russa". Secondo Anna Fotyga, ex ministro degli Affari esteri della Polonia e responsabile esteri di Ecr, super falca tra i falchi, «lo smantellamento dell'ultimo impero coloniale in Europa è inevitabile», perché la nazione che ha invaso l'Ucraina, «zarista, sovietica o sotto Putin, non è cambiata nel corso dei secoli» e «ripete sempre lo stesso schema: conquista, genocidio, colonizzazione».

Il corollario, sostiene Fotyga, è che non esistono gas, petrolio, alluminio, carbone, uranio, diamanti, cereali, foreste e oro di proprietà di Mosca.

«Tutte queste risorse sono tatare, bashkir, siberiane, careliane, oirat, circasse, buryat, sakha, urali, kuban, nogai». L’occidente deve quindi distruggere la Russia, in modo «controllato e costruttivo», anche allo scopo di ridare tutte le risorse «agli abitanti di quelle regioni, siano essi di etnia russa o indigeni».

Le regioni e le risorse

La questione delle risorse naturali, tema caldo subito dopo l'invasione, è sparito dai radar, con i media distratti dai combattimenti, dall'invio di armi dei paesi Nato a Kiev e dagli scenari da terza guerra mondiale. Ma il tesoro segreto di Russia e Ucraina, le risorse naturali appunto, non è secondario alle linee guida strategiche, geopolitiche e storiche, in quella che è una drammatica lotta per cambiare le sfere di influenza globale e il futuro dominio dell'Europa. Impero russo distrutto o ricostruito che sia, il freddo calcolo geoeconomico rimane rilevante.

Se si prende una mappa delle aree occupate o contese dalle truppe russe (il 17 per cento dell'Ucraina) e la si sovrappone a una mappa delle risorse naturali dell'Ucraina, si capisce cosa c’è in gioco. La regione orientale del Donbass, annessa dal Cremlino dopo i referendum farsa, cuore industriale dell'Ucraina e ricca di carbone, alimenta acciaierie, fonderie e centrali elettriche.

Nella regione di Dnieper-Donetsk (in parte ora oblast di Mosca) circa l'80 per cento dei giacimenti di petrolio, gas naturale e carbone è terreno di feroci scontri, come dice Mosca, per «liberare l'Ucraina dai nazisti» di Volodymyr Zelensky.

Una superpotenza

Un recente studio di SecDev, think tank canadese con sede a Ottawa, sostiene che l'Ucraina ha il potenziale per diventare una "superpotenza mineraria". La nazione aggredita da Mosca si colloca al quarto posto nel mondo con circa 15 miliardi di dollari di produzione annua di risorse naturali e un potenziale «valore stimato che potrebbe raggiungere i 7,5 trilioni di dollari». I minerali e i metalli, compresi ferro, acciaio, manganese, cromo e nichel, nel marzo 2022 rappresentavano oltre il trenta per cento dell'export di Kiev.

SecDev ha stimato poi che la nazione invasa dai russi abbia la più grande disponibilità in Europa di terre rare tra cui cerio, ittrio, lantanio e neodimio utilizzate in decine di milioni di dispositivi come memorie dei computer, batterie ricaricabili, comprese le auto elettriche, telefoni cellulari e molto altro: le terre rare sono il vero jolly di questa guerra.

Seconda per gas naturale

Inoltre l'Ucraina possiede i secondi più grandi depositi di gas naturale in Europa, calcolati in 1,2 trilioni di metri cubi (certe stime si spingono fino a 5,4 trilioni) la maggior parte nelle aree offshore del Mar Nero oggi aspramente contese.

La Russia ha già conquistato il controllo di due terzi delle piattaforme marittime di Kiev, dove si trova l'80 per cento dei giacimenti di petrolio e gas naturale.

Se è una semplificazione affermare che la guerra riguarda solo l'economia, «tutte le guerre alla fine riguardano qualche tipo di risorsa», ha affermato Rafal Rohozinski, fondatore di SecDev.

Il titanio asset cruciale

Tra gli asset cruciali dell'Ucraina c'è anche il titanio, un metallo leggero super resistente utilizzato in applicazioni militari come aerei da combattimento, elicotteri, navi, sommergibili, carri armati e missili a lungo raggio.

Con il titolo «La battaglia per il titanio dell'Ucraina», un articolo di Newsweek (storico settimanale americano ora posseduto dalla setta Olivet e dal controverso pastore evangelico coreano David Jang) avalla la tesi di un preciso interesse geoeconomico degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina, proprio per il controllo dell'elemento chimico che ha numero atomico 22 e simbolo Ti.

Sette nazioni

Ci sono solo sette nazioni al mondo che producono la spugna di titanio, e l'Ucraina è parte del gruppo.

Il problema vero è che alla Casa Bianca, anche quella di Joe Biden, i neocon ormai stabilmente al potere non sopportano che proprio i nemici sistemici dell'America, Cina e Russia, siano tra i maggiori produttori di titanio.

Alla Repubblica popolare cinese fa capo il 57 per cento della produzione globale del metallo, segue il Giappone con il 17 per cento, Russia con il 13 per cento, poi Kazakistan e appunto Ucraina.

Gli Stati Uniti importano più del 90 per cento del minerale, si capisce quindi Washington lo consideri "vulnerabilità chiave": un embargo russo-cinese che ne congelasse l’export metterebbe in crisi l'intera industria aerospaziale e della difesa legate al Pentagono, sconvolgendo le capacità di deterrenza dell'America sui fronti tecnologici e militari più avanzati, nella doppia lotta contro Pechino e Mosca.

L'importanza del titanio, russo e ucraino, è confermata da un dettaglio clamoroso: il metallo è sfuggito alle sanzioni varate contro la Federazione russa dai governi di Stati Uniti, Unione europea e alleati.

Nella lunga lista del nono pacchetto di sanzioni – è in preparazione il decimo da dieci miliardi – approvato il 16 dicembre 2022 dal Consiglio e dalla Commissione europea, il titanio con «alcune materie prime critiche» è tra le «esenzioni autorizzate».

Insomma può essere perfino estratto oltre che commerciato dagli europei.

Una fonte anonima dell'industria della difesa statunitense ha commentato: «Poiché si dibatte sempre più in tutto l'occidente sul motivo per cui è nel nostro interesse continuare a sostenere l'Ucraina, penso che questo sia uno degli argomenti che inizierete a sentire di più». La guerra continua.

© Riproduzione riservata