Le ultime parole famose sono state pronunciate dalla viceministra Laura Castelli lunedì pomeriggio: «Personalmente ho lavorato a una soluzione che presenteremo oggi, che nessuno se la intesti per motivi elettorali». E infatti martedì, quando in effetti la proposta del governo per sbloccare lo stallo sulla cessione dei crediti di imposta dei bonus edilizi è arrivata in parlamento, è stata tutta una gara a intestarsela.

Il Movimento 5 stelle ha rivendicato a ragione di aver tenuto il punto, peccato che questo abbia significato anche tenere di fatto in ostaggio il decreto Aiuti bis, licenziato dal governo nei primi giorni di agosto e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale più di un mese fa, da allora bloccato in Senato.

I leghisti hanno sostenuto che la soluzione è stata trovata grazie alla loro mediazione, nella persona del sottosegretario Federico Freni. E Giuseppe Conte, leader dei Cinque stelle, ha definito ridicola la loro rivendicazione, aggiungendo che l’importante è aver salvato dal fallimento 30-40mila aziende (per Castelli erano 7mila).

Più defilata, Forza Italia ha fatto sapere che la soluzione recepisce le sue indicazioni, il Pd dice che la sua mediazione è stata «fondamentale».

Cos’è, allora, che tutti rivendicano? La limitazione, per chi acquista crediti di imposta legati ai bonus edilizi, della responsabilità in solido con chi ha realizzato truffe su quei bonus gonfiando i crediti o facendo valere crediti inesistenti, ad eccezione dei casi di dolo o colpa grave. Niente responsabilità, insomma, per colpe lievi, errori o omissioni di controllo.

47 miliardi per 244mila

I partiti quindi rivendicano la marcia indietro rispetto alle regole riassunte nella circolare dell’Agenzia delle entrate del 23 giugno scorso: la responsabilità doveva essere valutata caso per caso, ma in generale si poteva applicare nel caso in cui il cessionario «abbia omesso il ricorso alla specifica diligenza richiesta, attraverso la quale sarebbe stato possibile evitare la realizzazione della violazione e l’immissione sul mercato di liquidità destinata all’arricchimento dei promotori dell’illecito».

A banche e intermediari finanziari era richiesta molta più “diligenza” anche in nome del fondamentale rispetto delle normative anti riciclaggio a cui le banche sono tenute. C’erano poi profili di rischio da tenere in considerazione per individuare la eventuale responsabilità, dalla mancanza di documentazione alla sproporzione tra l’ammontare dei crediti e il valore dell’immobile da ristrutturare.

Questo schema era pensato come incentivo ai controlli sulla filiera in risposta alle frodi miliardarie scoperte soprattutto sui bonus facciate e sugli ecobonus.

Per le organizzazioni del settore, dall’Ance a Federcostruzioni, però, ha bloccato il grande mercato dei crediti di imposta. Come degli apprendisti stregoni, gli estensori dei generosissimi e difficilmente giustificabili bonus edilizi, hanno creato una moneta parallela che è diventata il baricentro di un intero comparto produttivo, un meccanismo che, una volta messo in moto, difficilmente si può fermare.

Alla fine il governo si è trovato costretto ad ammorbidire la stretta sui controlli preventivi e i partiti felici hanno rivendicato la svolta. Ha prevalso la necessità di convertire in legge un decreto che, tra le altre cose, taglia i contributi ai lavoratori, estende il bonus bollette e i crediti di imposta sull’energia o lo smart working per le categorie più fragili.

Ma ora che è stato eliminato un ostacolo al passaggio di mano in mano dei crediti è il caso di ricordare cosa c’è alla base dell’incantesimo dell’apprendista stregone: come nelle più spericolate operazioni finanziarie la bolla è sproporzionata rispetto alla realtà sottostante.

Gli ultimi dati aggiornati alla fine di agosto nel consueto rapporto dell’Enea dicono che per il Superbonus sono state realizzate poco meno di 244 mila asseverazioni su milioni di edifici: la spesa per lo stato ammonterebbe a oltre 47 miliardi a fine lavori, di cui 30,4 miliardi di lavori già conclusi. Ben il 55 per cento sono ristrutturazioni di unifamiliari, mentre i condomini non arrivano al 15 per cento.

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