Dopo quattro anni dalla richiesta di rinvio a giudizio di trentuno persone nel maxi processo Ubi Banca, la procura di Bergamo ha chiesto la condanna per un totale di 82 anni per 15 ex dirigenti dell’istituto bancario di Bergamo e Brescia, alla fine del lungo processo per ostacolo alla vigilanza e illecita influenza sull’assemblea del 2013, la prima in cui la lista da sempre "padrona" della banca aveva rischiato di perdere il timone dell'istituto a favore delle due liste concorrenti.

La richiesta di condanna più alta è stata per Giovanni Bazoli, l’uomo che secondo l’accusa è stato il regista dei patti parasociali occulti su cui per anni si sarebbe fondata l’assetto dell’ex banca popolare, già quarto istituto di credito italiano, oggi confluito nel gruppo bancario che lo stesso Bazoli ha fondato e presieduto: Intesa San Paolo. Per l’anziano banchiere i pubblici ministeri hanno chiesto una condanna di sei anni e otto mesi. Inoltre ieri è stata reso noto l’inserimento nella lista degli indagati per falsa testimonianza del celebre notaio Piergaetano Marchetti che fece da consulente all’istituto e che nel 2019 testimoniò che quei patti sulla governance non erano considerati illeciti dalle autorità, ma semplicemente obsoleti.

I quattro ai vertici

Oltre a Bazoli, i magistrati hanno chiesto la condanna per entrambe le imputazioni anche per l’allora consigliere delegato di Ubi Banca Victor Massiah (cinque anni), per l’ex presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, e per l’ex presidente del consiglio di gestione Emilio Zanetti, il presunto referente dei patti sul lato bergamasco, per entrambi i quali sono stati chiesti cinque anni e dieci mesi.

I quattro avrebbero omesso comunicazioni alle autorità di vigilanza sugli accordi su cui nel 2009 è nata Ubi Banca – «i patti fra gentiluomini» che richiedono «lealtà», Bazoli dixit, che secondo la procura sono stati rinnovati nel 2012 «a tempo indeterminato». Patti parasociali che, secondo la procura, per anni sono serviti a mantenere l’assetto costituito di potere di una delle maggiori banche italiane e che però costituivano un modello organizzativo non idoneo «a prevenire reati societari e a garantire la trasparenza delle comunicazioni nei confronti delle autorità di vigilanza», come si leggeva nel rinvio a giudizio oramai risalente a tre anni fa. Accordi che avrebbero messo gli stessi dirigenti bancari nella condizioni di non poter prevenire gli illeciti. Tuttavia le due autorità di vigilanza, a cui nell’impianto dell’accusa quegli accordi sarebbero stati nascosti, non si sono comportate allo stesso modo rispetto al mega processo: solo Consob si è costituita parte civile e ieri ha avanzato una richiesta di risarcimento per danno materiale di poco più di 200mila euro oltre al danno di immagine.

Per altri quindici dirigenti è stata chiesta la condanna per l’illecita influenza sull’assemblea del 20 aprile 2013, il cui esito secondo i magistrati è stato distorto grazie a una massiccia raccolta di deleghe in bianco.

Tra questi figurano l’ex presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti – cinque anni e dieci mesi la richiesta di condanna – l’ex vicepresidente e attivissimo consulente legale, Mario Cera, e i due ex consiglieri di sorveglianza, Pierpaolo Camadini e Italo Lucchini, l’estensore dei diari che hanno fatto luce sui presunti accordi occulti.

Richieste di condanne leggermente più lievi per il notaio Armando Santus, l’uomo che ha messo la firma sulla maggioranza degli atti che regolavano l’assetto societario di Ubi, per il vice presidente del consiglio di gestione Flavio Pizzini.

La procura ha proposto invece l’assoluzione per la società Ubi Banca, ora parte del gruppo bancario Intesa San Paolo, e per Francesca Bazoli, figlia di Giovanni. Per tutti gli altri, che dal canto loro rigettano ogni accusa, i magistrati non hanno chiesto alcuna attenuante e domandato una confissca complessiva di cinque milioni e 300 mila euro.

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