Falciare la selva delle imposte e rompere il tabù della tassa sugli immobili. Banca d’Italia di fronte alle due commissioni Finanze di Camera e Senato, riunite ieri per discutere della riforma dell’Irpef, ha insistito molto sulla necessità di semplificare il sistema fiscale e sulla necessità di correggerne almeno gli effetti distorsivi. Per farlo ha suggerito di realizzare una delle grandi opere incompiute italiane: la riforma catastale. A dicembre 2011 nell’Italia all’apice della crisi economica si annunciava che il cantiere della riforma era stato aperto, poi a intervalli regolari sono tornati gli annunci, non le azioni concrete. A nove anni di distanza la riforma del catasto ancora non c’è. E ora si ripropone, per l’ennesima volta, lo stesso problema: abbiamo un catasto che ha un impianto datato 1939 e non è aggiornato.

La riforma del sistema dell’Irpef è uno degli obiettivi principali della maggioranza ed è inserita nel Recovery plan tra gli interventi strutturali. La Commissione Ue da anni chiede quello che possono chiedere tutti gli osservatori del nostro sistema di imposte: abbassare le tasse sul lavoro spostando il carico fiscale dai fattori produttivi a consumi e ricchezza. Ma poi c’è anche la necessità di riordinare tutto il sistema: negli anni si sono moltiplicati i regimi di tassazione separata e poi esenzioni, deduzioni e detrazioni.

139 voci di spesa fiscale

Come il mancato aggiornamento dei valori catastali, la selva di diverse normative che sarebbero da riordinare e riscrivere erode la base imponibile e ha effetti sulla ridistribuzione della ricchezza. «La crescente estensione dei regimi di tassazione sostitutiva determina un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito generando una violazione del principio di equità orizzontale e incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell’imposta», ha infatti spiegato il capo del servizio consulenza fiscale di Banca d’Italia, Giacomo Ricotti. Inoltre anche il regime delle spese fiscali, che coprono ambiti che vanno dalla sanità alla previdenza, è arrivato ormai a contare 139 voci: significano 42 miliardi in meno e anche qui «i benefici di alcune tendono a concentrarsi tra i contribuenti nei decili più alti di reddito con una riduzione della progressività dell’Irpef».

La Banca d’Italia indica più volte la necessità di una riforma complessiva che tenga conto dell’insieme dei prelievi, ma anche del sistema dei trasferimenti sociali e concretamente suggerisce di rivedere il sistema delle aliquote Iva e sul fronte dei patrimoni una revisione della tassazione degli immobili. «Una forma di prelievo poco distorsiva», dice Ricotti, mentre «attualmente solo Norvegia, Spagna e Svizzera applicano imposte patrimoniali personali» che hanno maggiori problemi amministrativi e rischi di evasione.

Contro le periferie

Secondo la Banca d’Italia il nostro livello di imposte sugli immobili è inferiore a paesi simili come Francia e Spagna, mentre la mancata tassazione della prima casa è una «anomalia», anche perché sulle prime case si può «prevedere una riduzione per le famiglie a basso reddito».

La conclusione è quella che finora quasi nessun politico ha voluto prendere in esame: «Un maggiore prelievo sul possesso di immobili per finanziare un minor carico sui fattori produttivi potrebbe rappresentare un’opzione di riforma favorevole alla crescita». E a chi tra i deputati ha opposto obiezioni sul tabù italiano per eccellenza, il capo del servizio fiscale ha ricordato che almeno bisogna agire sul catasto. Oggi «in assenza di una revisione delle rendite l’Imu comporta un trattamento relativamente più favorevole per i proprietari di immobili più vetusti, siti spesso in zone più centrali, con rendite solitamente meno aggiornate, e una penalizzazione per i proprietari di immobili di più recente costruzione, tipicamente siti in zone più periferiche».

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