Il ricatto del gas di Vladimir Putin continua a tenere l’Europa nell’incertezza delle forniture, e mentre la Germania pensa ai razionamenti, l’Italia trema di fronte ai nuovi costi che dovrà affrontare in vista dell’inverno e per i flussi di metano. Il primo luglio è stata confermata la notizia che entrambe le linee del gasdotto Nord Stream, che invia gas dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico, saranno chiuse dall’11 al 21 luglio per manutenzione. 

Un annuncio che è bastato per far salire i prezzi del metano sulla borsa olandese a 160 euro per megawattora, in rialzo dell’8 per cento. Una crescita che potrebbe non arrestarsi mentre l’inflazione ha raggiunto picchi che non si vedevano dal 1986, trainata dal costo dell’energia.

La nota dell’operatore

L’operatore del gasdotto, Nord Stream Ag, in un comunicato ha confermato quanto era nell’aria da giorni. I piani di lavoro erano stati concordati, ma la Germania teme che possa essere una nuova scusa per ridurre definitivamente i flussi di gas a Berlino, che sono già scesi del 60 per cento. 

Il presidente dell’Agenzia federale delle reti (Bnetza), Klaus Mueller, in un’intervista alle testate dell’editore Funke Mediengruppe, ha esortato i suoi concittadini a risparmiare energia e prepararsi al prossimo inverno «perché non è possibile prevedere se l’attività di manutenzione del gasdotto Nord Stream 1 sarà ordinaria» o se si trasformerà «in una più lunga manutenzione di natura politica».

Al momento siamo alle esortazioni, ma il presidente Olaf Scholz ha anche tenuto un tavolo con i sindacati e le industrie per discutere di bonus legati al risparmio energetico.

L’Italia

Nord Stream attualmente è l’unico gasdotto da cui affluisce il metano russo in Germania. Di solito per sopperire agli ammanchi durante la manutenzione, viene usato Yamal, Il gasdotto che passa dalla Polonia. L’infrastruttura però è chiusa da aprile, visto che la Polonia si è rifiutata di aprire conti in rubli per pagare il metano, come hanno fatto invece le compagnie italiane e tedesche.

Il primo rischio, conferma una fonte tecnica a Domani, è che se la Germania restasse a secco, anche l’Italia subirebbe ulteriori tagli. Infatti Gazprom consegna volumi di metano anche attraverso quella rotta e può addurre cause tecniche anche per Eni, il primo compratore.

La prima volta che Gazprom ha tagliato le forniture, il 15 giugno, la motivazione è stata la difficoltà legata a un impianto in Russia collegato al gasdotto che approda in Germania. I flussi verso l’Italia sono ormai al 50 per cento da allora. Anche se il caldo non rende la situazione allarmante, sono stati ulteriormente rallentati i riempimenti degli stoccaggi per l’inverno a caisa dei costi in ascesa.

Le rotte

La compagnia russa serve l’Italia da due rotte: una passa sotto l’Ucraina dal gasdotto Bratstvo, l’altra invece passa da Nord Stream 1, si collega ai gasdotti della Repubblica Ceca, all’Austria e infine approda a Tarvisio. La scelta della strada che compie il gas è a discrezione di Mosca, così come la decisione che i problemi tecnici rendano impossibili le consegne. L’Italia per il momento è al livello di «pre-allarme» (monitoraggio) mentre la Germania è passata allo stadio di «allarme» da più di una settimana. 

I flussi di gas consegnati giornalmente da Gazprom, a quanto ha comunicato Eni, «sono poco più del 15 per cento dell’attuale offerta complessiva italiana» e i volumi di gas russo destinati all’Italia attraverso il punto di ingresso di Tarvisio «transitano principalmente attraverso la rotta ucraina». Tuttavia, a quanto confermano fonti vicine alla materia, la compagnia russa può decidere le rotte del metano, fissare manutenzioni, addurre problemi tecnici e difficoltà nella distribuzione in qualsiasi momento. Infatti Eni fa sapere che la società «si riserva di monitorare eventuali impatti che Gazprom dovesse attribuire alle attività di manutenzione del Nord Stream».

Al momento a frenare le mosse di Putin ci sarebbero i contratti, ma prima che vengano violati i termini legati alle quantità possono passare mesi. Non solo per Nord Stream ma anche per il gasdotto che passa dall’Ucraina e qualunque “vena” arrivi in Europa.

Carbone e nucleare

L’Unione europea, ha detto il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, nel corso di un’intervista che ha rilasciato al quotidiano Handelsblatt, dovrà tornare a utilizzare il carbone e l’energia nucleare «finché sarà necessario» per far fronte alla crisi del gas e rendersi indipendente dalle importazioni di idrocarburi dalla Russia. Per ora il ministro tedesco all’Economia e alla Protezione del clima, Robert Habeck, ha ribadito che la Germania completerà il suo processo di denuclearizzazione nel 2022. Ma sia la Germania, sia l’Italia pensano di cominciare a fare economia di metano usando di più le centrali a carbone per la produzione di energia elettrica. 

Per Breton «in questo momento in cui abbiamo bisogno di solidarietà, tutti devono fare tutto ciò che è in loro potere, almeno per il prossimo inverno. È nell’interesse generale dell’Europa perché siamo tutti collegati». Nella comunicazione sull’energia emanata a marzo, la Commissione ha inserito un meccanismo di solidarietà che prevede che gli stati europei mettano in campo soluzioni emergenziali non solo se venisse a mancare l’energia a loro ma anche per aiutare gli altri paesi, tra cui la condivisione del gas e degli stoccaggi e, soprattutto, fare quanto serve per riempirli al 90 per cento entro il primo novembre.

Il testo è attualmente in discussione al Senato, e oggi Terna, la società che si occupa del trasporto dell’energia elettrica, sarà ascoltata dai parlamentari. In settimana ci sarà anche Eni. Il governo, dopo il tavolo di emergenza convocato dal ministro Roberto Cingolani, ha dato il mandato di coordinare gli acquisti di carbone delle società che posseggono le centrali in Italia, Enel, A2a ed Ep Produzione.

Le misure emergenziali tuttavia non tengono bassi i prezzi. Per far fronte all’inverno l’Italia ha già deciso di investire con l’ultimo decreto taglia bollette 4 miliardi per riempire gli stoccaggi, visto che gli operatori di mercato non trovano conveniente l’operazione, e i costi continuano a salire. 

Per l’Italia la risposta è un meccanismo di price cap, tetto ai prezzi, per cercare di tenere a bada il rischio metano e l’inflazione. Nessuno si sbilancia su quando l’Unione europea si deciderà a fissare il price cap: «All’inizio erano tutti contro – ha detto Cingolani a SkyTg24 -, poi, quando la crisi ha iniziato a picchiare duro, la situazione è cambiata. E adesso la Commissione europea ci sta lavorando». Anche se va «meglio di quanto pensassimo», ha concluso, «i tempi sono lunghi».

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