Il ministro Roberto Cingolani è atteso martedì prossimo a presentare il programma del nuovo ministero della transizione ecologica in parlamento e quindi a spiegare quali sono le scelte dello stato italiano sulla transizione energetica e la decarbonizzazione, cosa abbiamo deciso di finanziare e in base a quali criteri.

Per esempio, se ci saranno solo progetti già previsti nei piani industriali dei cosiddetti “campioni nazionali” che però hanno obiettivi di decarbonizzazione e strategie diverse l’uno dall’altro, o anche tecnologie come l’eolico offshore, quanto finanzieremo chi ha imboccato la strada decisa delle rinnovabili o quanti soldi pubblici andranno ad accompagnare la transizione di aziende floride ma che come Eni hanno in previsione di aumentare la produzione di gas e petrolio, soprattutto se abbiamo un piano complessivo per l’infrastrutturazione energetica del paese.

Quella di Cingolani è la partita più grossa del piano di ripresa e resilienza, perché la filiera energetica ha interconnessioni con tutti i settori ed è anche quella su cui potrebbero esserci cambiamenti rispetto al Conte due.

Cdp Equity stringe gli accordi

In attesa del ministro però è la Cassa depositi e prestiti di Fabrizio Palermo, il cui incarico scade ad aprile, ad agire.

Cdp equity ha, infatti, annunciato la costituzione di una joint venture, GreenIt, proprio con Eni, con l’obiettivo di «costruzione e gestione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia», come spiega il comunicato diffuso ieri. Questa è già della seconda società creata con Eni in poco meno di due anni, la prima marzo 2020 era CircularIt, per progetti edi economia circolare.

L’ex fondo strategico italiano con il suo mandato di realizzare investimenti di lungo periodo è per definizione il vettore delle scelte industriali del paese. E anche nel piano di ripresa e resilienza avrà un ruolo di primo piano nel finanziamento e nella selezione dei progetti.

Anzi, lo sta già avendo. A dicembre la Cassa e depositi ha anche sottoscritto un accordo di associativo con Confindustria energia, entrando di fatto nell’associazione per accompagnare la filiera, durante quello che è chiaramente un cambio di paradigma. Finora buona parte del piano di ripresa sembra frutto di una idea abbastanza semplice: utilizzare i grandi campioni nazionali assieme all’intervento pubblico come leve di un comparto. Proprio ieri l’associazione dei consulenti italiani ha proposto uno schema simile in audizione al senato. Ma per un vettore pubblico significa prendere delle scelte tutte da spiegare sul piano delle strategie, della concorrenza, della scelta di un’associazione e non di un’altra.

Dai data center alle rinnovabili

Nella nuova stagione di interventismo, Cdp Equity entra in Euronext-Borsa italiana, entrerà nel nuovo campione europeo del fintech Nexi-Sia, attorno al quale si sta muovendo appunto un intero sistema e ha anche sottoscritto il memorandum di understanding con Tim sulla rete unica. Dall’otto marzo ha anche accolto l’ex amministratore delegato di Sia Nicola Cordone come senior advisor su «progetti di digitalizzazione e nel settore dei data centre», altro snodo importante dei progetti di sviluppo digitale del piano nazionale di ripresa e su cui si è ancora in attesa di una strategia chiara – questa settimana una presa di posizione sul cloud pubblico è arrivata da Renato Brunetta, ma il ministro Vittorio Colao deve ancora fare la sua audizione.

Con la joint venture sulle energie rinnovabili GreenIt viene replicato quello che si è già visto con la banda larga: l’investitore pubblico c’è, ma senza maggioranza. La nuova società vede infatti Eni al 51 per cento e CdpEquity al 49. L’obiettivo è avere un polo industriale capace di «produrre energia da impianti fotovoltaici ed eolici» con investimenti «cumulati nel quinquennio per oltre 800 milioni di euro». Questo co-investimento potrebbe aggiungersi ai progetti di Eni che erano stati inclusi in un primo momento nel piano di ripresa e resilienza giusto sotto la voce economia circolare.

Per ora il condizionale è d’obbligo. Ieri sera alle commissioni parlamentari sono arrivate le schede progetto che erano state lasciate in eredità dal vecchio governo al nuovo, come promesso dal ministro dell’Economia Daniele Franco. Centinaia di pagine che potrebbero cambiare proprio sul fronte della transizione energetica. Ieri alle commissioni bilancio e politiche europee del Senato si sono presentati altri due campioni nazionali dell’energia, Enel e Snam. Con strategie diverse, in particolare come è comprensibile sull’idrogeno, le due aziende hanno però entrambe chiesto semplificazione di tutte le procedure. Chiarezza sulla cornice sugli aiuti di stato per i fondi del Recovery, con preghiera che il governo trovi una intesa con la commissione europea e speranza che la pubblica amministrazione abbia la capacità di gestire i progetti.

Fabrizio Iaccarino, responsabile affari istituzionali di Enel, parlando del rischio di mancare l’obietto di chiudere le centrali a carbone nel 2025 (Enel ne ha cinque su sette di quelle presenti in Italia), ha ripetuto un prevedibile appello a fare squadra, anche con gli enti locali. Ma questa volta è necessario da “contratto”: ieri il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha ribadito che enti locali e parti sociali vanno consultati – Mario Draghi non a caso lo ha fatto fin dalle consultazioni per la formazione del governo – e che deve essere chiaro il loro coinvolgimento nel piano che gli stati presentano a Bruxelles. Noi siamo al primo passo: il coinvolgimento del parlamento.

 

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