Non si trovano camerieri e barman sulle spiagge, tanto meno braccianti per le vendemmie precoci nei vigneti sotto il sole estivo. E bagnini e inservienti negli hotel. L’allarme degli imprenditori parte dal Veneto, dove i due settori di punta - agricoltura e turismo - hanno sì acceso il turbo, ma ancora il motore non parte a scatto o non va ai giri voluti perché inibito dalla manodopera che scarseggia, dicono.

La colpa sarebbe non dei salari troppo bassi o dei prezzi troppo alti o dei servizi di bassa qualità, ma del reddito di cittadinanza, che funzionerebbe da disincentivo all’accettare le offerte di lavoro quali che siano. Il motivo per cui è nato: limitare la concorrenza a ribasso dei salari, che si abbassino oltre la sopravvivenza. Il paradosso è che proprio dalla ex maggioranza giallo-verde che vengono i principali attacchi, da chi l’ha varato.

Ha cominciato circa due settimane fa l’assessore regionale della giunta Zaia, il leghista Federico Caner. Davanti al ministro del turismo Massimo Garavaglia, anche lui della Lega, Caner ha detto papale papale che «il reddito di cittadinanza ha messo in difficoltà le imprese del settore alberghiero e della ristorazione».

Più di recente, la deputata pentastellata Valentina D’Orso ha presentato un emendamento al decreto Sostegni bis perché sia reso obbligatorio il lavoro estivo ai percettori di reddito di cittadinanza entro un raggio di cento chilometri dalla residenza, pena la perdita del sussidio. Il collega Roberto Pella, deputato azzurro, chiede invece la decontribuzione totale per le imprese del turismo disposte ad assumere percettori di reddito di emergenza e cassaintegrati Covid. Anche le cantine venete lamentano scarsità di mano d’opera stagionale per la vendemmia.

Il lavoro a scacchiera

La Coldiretti calcola che mancano almeno il 40 per cento dei braccianti, che gli altri anni provenivano dai paesi dell’Europa dell’est e sollecita un nuovo decreto flussi, pronta a vaccinarli all’arrivo, direttamente nelle proprie sedi.

Il ministro Garavaglia ha promesso sgravi fiscali per gli stagionali agli imprenditori del turismo «che devono battere la concorrenza di Spagna e Grecia». Ma a ben vedere il problema sembra ben altro: dall’ultima indagine dell’Ispettorato nazionale del lavoro del 2019 risulta che il lavoro irregolare o “nero” nel settore turistico e della ristorazione interessava addirittura il 75 per cento dell’intera forza lavoro.

Dopo la pandemia gli imprenditori per cautelarsi hanno inaugurato il lavoro “a scacchiera”, mezzo bianco e mezzo nero, così pagano 300-400 euro al mese il lavoratore assunto part time a 20 ore, il minimo, e il resto “fuori busta” fino a 80 ore settimanali.

In agricoltura, dove pure gli imprenditori lamentano penuria di braccia, secondo le ultime statistiche diffuse dall’Inps anche durante l’anno scorso le giornate lavorate risultano in calo solamente del tre per cento rispetto all’anno precedente. Nel frattempo sono stati reintrodotti i voucher da 6-7 euro l’ora tutto compreso ma solo per studenti in corso, pensionati e disoccupati, non per i beneficiari di reddito d’emergenza, che al massimo possono integrare al nero.

I dati mancanti

Tanto sulle spiagge che nei campi, è difficile considerare un contratto di assunzione regolare meno desiderabile della copertura offerta dal reddito di cittadinanza. Per i sindacati gli allarmi degli imprenditori su questo punto sono esagerati, non suffragati dai numeri.

Al contrario di tanti altri settori, nelle zone di vacanza albergatori e balneari hanno lavorato anche durante la scorsa stagione estiva, mentre mancano dati precisi e complessivi sugli aiuti elargiti dallo stato durante la pandemia.

«Non si sa neanche la cifra totale», ammette Fabrizio Russo segretario nazionale dalla Filcams Cgil ricordando come le agevolazioni alle aziende siano state erogate di volta in volta a settori specifici dai tour operator in su con diversi decreti «sulla base di singole sollecitazioni» e quindi senza un piano organico: «Sarebbe ora che la politica considerasse a questo punto la condizione dei lavoratori più che le ulteriori richieste delle imprese».

Lo sblocco dei licenziamenti il 31 ottobre potrebbe essere un massacro nel turismo se gli 1,8 miliardi di euro per riqualificazioni e ammodernamenti previsti nel piano di ripresa e resilienza per le strutture ricettive non avrà condizionalità sulle assunzioni stabili e ben retribuite, da contratto.

 

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