Nella media del 2024 si registra un aumento del numero di occupati pari a 352mila unità (più 1,5 per cento in un anno) che si associa alla riduzione del numero di disoccupati e alla crescita degli inattivi (più 0,5 per cento). Il tasso di occupazione sale al 62,2 per cento (più 0,7 in un anno), mentre quello di disoccupazione scende al 6,5 per cento (meno 1,1 punti). Lo dice l’Istat nel suo report sul mercato del lavoro nel quarto trimestre del 2024, pubblicato giovedì 13 marzo.

Negli ultimi tre mesi dell’anno, si nota un aumento dei dipendenti a tempo indeterminato (più 3,1 per cento) e un calo dei dipendenti a termine (meno 10 per cento) e dei lavoratori autonomi (meno 0,4) rispetto allo stesso periodo del 2023. Il nuovo anno si è quindi aperto con oltre 24,2 milioni di occupati: dal 2004, data di inizio delle serie storiche, in Italia non ci sono mai state così tante persone con un lavoro, anche se si scorgono i primi segnali di un rallentamento di questa crescita.

Boom di over 50

Sono numeri positivi che la maggioranza rivendica con orgoglio: «Si confermano il dinamismo del mercato del lavoro anche in un quadro economico complesso e la fiducia nelle politiche avviate dal governo Meloni», ha detto la ministra del Lavoro, Marina Calderone. E anche cifre subito rilanciate dai giornali d’area, secondo cui l’Istituto nazionale di statistica «certifica l’impegno di Meloni sul fronte occupazione» facendo ovviamente «impazzire la sinistra».

Premesso che il ciclo occupazionale segue dinamiche lunghe e difficilmente è merito di un governo, come ha avuto modo di spiegare su La Voce l’economista Bruno Anastasia, va detto che dietro a questo record, che affonda le sue radici nella ripresa dell’economia dopo la fase del Covid-19, si nascondono alcuni punti dolenti, a partire dalla forbice tra uomini e donne – la crescita dell’occupazione è stata spinta dall’aumento dei lavoratori maschi, che rappresenta l’80 per cento del totale – e dal fatto che a trainare la crescita sono soprattutto gli over 50enni.

Nel 2024 il tasso di occupazione dei lavoratori senior è infatti salito del 2,4 per cento, contro il più 1 della fascia 25-34 anni, il più 0,4 dei 35-49enni e il calo dello 0,5 per cento registrato tra i più giovani. Non a caso a trainare il mercato sono i contratti a tempo indeterminato, storicamente più diffusi tra i lavoratori anziani. E non si tratta di un dato isolato: in Italia gli over 50 al lavoro, quasi 10 milioni, sono il doppio rispetto a vent’anni fa, tanto che il tasso di disoccupazione per questa classe di età è addirittura più basso della media europea.

In pensione più tardi

Una presenza così massiccia di lavoratori senior è dovuta soprattutto all’andamento demografico. Le persone lavorano per più anni ed è cambiata la struttura della popolazione occupata, con i baby boomer che progressivamente invecchiano e pochi ingressi di lavoratori giovani. I nati alla fine degli anni 90 sono quasi la metà dei nati negli anni 60 ed entrano più tardi nel mercato del lavoro, anche perché studiano più a lungo: nel settore manifatturiero, ad esempio, molti over 50 si sono fermati alla terza media, mentre i 20-30enni hanno livelli di istruzione maggiori.

Tra i fattori che più hanno inciso sul boom degli over 50, ha notato su Domani Francesco Seghezzi, c’è lo slittamento in avanti dell’età pensionabile come effetto delle riforme pensionistiche. Oggi i lavoratori senior sono trattenuti più a lungo: l’età media di ritiro dal lavoro è tra i 64 e i 65 anni, mentre pochi anni fa era intorno ai 62 anni. Con il paradosso che i membri del governo, così fieri del record dell’occupazione, dovrebbero ringraziare la legge Fornero – disprezzata soprattutto da Matteo Salvini – che ha portato a 67 anni l’età pensionabile.

Ma sulla riduzione dei pensionamenti, fanno notare dall’Istat, pesa anche l’effetto dello smart working. Il lavoro da remoto, che in alcune realtà copre una o due settimane su quattro, può contribuire a un generale miglioramento delle condizioni di lavoro. Per gli over 60 diventa quindi accettabile una maggiore permanenza tra gli occupati, con la pensione che non sempre è vista come un traguardo da raggiungere il prima possibile.

Produttività e salari

L’ingente presenza di lavoratori over 50 pone alcune domande sul rapporto tra crescita occupazionale e produttività. L’aumento degli occupati non è stato accompagnato da una crescita del valore aggiunto e questo ha fatto sì che negli ultimi anni la produttività del lavoro crescesse poco (aspetto che aiuta a spiegare l’anomalia di un Pil quasi fermo a fronte del record di occupati). Con conseguenze in primo luogo sui salari, cronicamente più bassi rispetto al resto d’Europa.

Il mancato aumento della produttività non è comunque scontato. È vero per i lavori manuali, con gli operai impiegati in mansioni che difficilmente riescono a svolgere come in passato, ma nel terziario un lavoratore over 50 (con più esperienza) può essere più produttivo di uno giovane.

Per quanto riguarda i salari, invece, va aggiunto che gli over 50 beneficiano degli scatti di anzianità: la componente fissa della loro retribuzione è al top, con alti costi per le imprese che forse dovrebbe indurre a ripensare il relativo meccanismo.

Il secondo elemento da considerare riguarda lo scenario che si aprirà più avanti, quando la generazione dei baby boomer, seppur in ritardo, andrà in pensione: secondo le ultime stime, nei prossimi vent’anni la popolazione in età da lavoro si ridurrà di quasi 7 milioni e l’economia dovrà fare i conti con una base occupazionale ridotta. 

© Riproduzione riservata