Dopo la strage di Cutro il governo Meloni si è vantato di aver preso provvedimenti per gli ingressi legali dei migranti in Italia, nel decreto varato proprio a Cutro l’esecutivo ha messo insieme le basi per un nuovo decreto flussi. Ancora prima il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, il meloniano Francesco Lollobrigida, ha dichiarato in un’intervista che si sarebbero dovuti far entrare in Italia almeno 500mila lavoratori stranieri in cinque anni. Una cifra apparentemente alta, ma solo apparentemente.

«Ci siamo ritrovati di fronte a una dichiarazione unilaterale», dice Jean René Bilongo che oltre che coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto che produce ogni anno un report sulle agromafie, è responsabile immigrazione della Flai, la sigla Cgil che rappresenta i lavoratori dell’agroindusrria. Camerunense di origine ha iniziato la sua attività a Castel Volturno conosce a fondo il rapporto tra mondo agricolo e migrazioni: «Siamo consapevoli che il bisogno di manodopera è un tema drammatico in tutta Europa, e che tendenzialmente si sopperisce con manodopera straniera, ma stupisce l’assenza di metodo in questo approccio». Ma anche Coldiretti non è contentissima del numero lanciato anche perché Lollobrigida intende 500 mila da qui alla fine della legislatura e il comparto agricolo avrebbe bisogno di 100 mila solo per la stagione.

«L'attuale decreto flussi prevede 87mila ingressi», dice Romano Magrini responsabile lavoro della Coldiretti, «di cui 44 mila come lavoro stagionale per il settore agricolo e turistico. Chiaramente è un decreto che il governo si è trovato pronto a fine anno, quindi non abbiamo immediatamente protestato. Ma secondo noi c’è la possibilità di fare, come previsto dalla legge, un secondo decreto flussi che vada a integrare le quote almeno per il settore agricolo. Ma da quel che vedo anche altri settori sono nelle stesse condizioni». Alessandro Genovesi segretario generale di Fillea spiega che al comparto servirebbero 150mila lavoratori: «Stiamo parlando di 70mila operai di specializzazione medio bassa, 40 mila operai specializzati e 30 mila tecnici». Dall’altra parte Federalberghi l’anno scorso aveva dichiarato la mancanza di 300 mila lavoratori stagionali.

I numeri veri dei decreti flussi

I veri numeri dei decreti flussi degli anni passati spiegano bene perché c’è la richiesta univoca di ingressi a sei cifre. «Fino al 2010 esisteva una programmazione triennale - spiega Luca di Sciullo presidente del Centro studi e ricerche Idos - con il report Excelsior fatto da Unioncamere e ministero del lavoro».

Guardando i dati della Fondazione Moressa sull’andamento dei permessi per lavoro legati ai vari decreti flussi si vede che il picco degli arrivi è stato nel 2007 con 250mila permessi di lavoro di cui 80mila stagionali e 170mila non stagionali. Con la crisi finanziaria del 2008 che in Europa è diventata anche crisi occupazionale, la decisione è stata quella di non programmare più e di ridurre drasticamente le entrate per lavoro. Dal 2014 al 2020 il numero di permessi concessi con il decreto flussi era sui 30 mila l’anno di cui la metà stagionali. Poi è arrivato il Covid e la mancanza di mobilità internazionale ha fatto realizzare quanta parte della nostra economia fosse dipendente da lavoratori stranieri stagionali e no.

Lavoro di cura escluso

Sui numeri abbiamo chiesto anche ad Adecco, il colosso del lavoro interinale, che parla ogni giorno con migliaia di aziende. «Ci basiamo su Excelsior, di Unioncamere e Anpal - racconta Claudio Soldà di Adecco Group Italy - secondo il report di dicembre, solo nel primo trimestre del 2023 la previsione era di un milione e 300 mila assunzioni, 500 mila solo a gennaio. Il dato interessante è che nella metà dei casi, 46 per cento, esprimevano difficoltà al reperimento e molti in quelle aree che potrebbero essere coperte da lavoratori stranieri come l’agricoltura e il lavoro di cura». Peccato che il lavoro di cura ad esempio non è compreso nei posti disponibili del decreto flussi. «Tra i nostri candidati si conta già oltre il 25 per cento di persone provenienti da paesi extracomunitari - continua Soldà - che sono aumentati al pari dell’aumento della fascia di lavoratori over 50 tra gli italiani». Secondo Soldà «È normale visto che ogni anno ci sono 100 mila giovani in meno che entrano nel percorso scolastico e quindi, in prospettiva, nel mondo del lavoro».

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