Le banche hanno chiamato e il governo ha, in parte, risposto. Alla vigilia del varo della legge di bilancio alcuni grandi istituti di credito hanno espresso i loro timori sul rischio di default delle imprese in mancanza di un nuovo prolungamento degli aiuti e anche delle modifiche ai regolamenti dell’Autorità bancaria europea e hanno elencato precisamente le misure da prendere in un documento inviato al ministero dell’economia. Nella lettera hanno chiesto a governo e Banca d’Italia di fare «una azione coordinata per disporre delle misure che per essere coordinate devono avere anche la copertura del regolatore europeo».

Il documento illustrava tutti gli interventi da adottare per fare in modo che le imprese beneficino a pieno delle misure del governo: il Fondo di garanzia previsto dal decreto liquidità che ha già coperto più di 90 miliardi alle piccole e medie imprese e della moratoria sui prestiti che vale oltre 197 miliardi.

Interventi di medio lungo periodo

Il governo aveva definito la garanzia dello stato la sua potenza di fuoco, ma il problema è quanto la potenza può durare. Nel documento gli istituti di credito chiedevano interventi «di medio e lungo periodo» per dare alle imprese gli strumenti «per affrontare la crisi e evitare possibili scivolamenti in default per effetto del mancato pagamento delle rate dei finanziamenti». E, sottinteso, per dare alle banche il tempo di smaltire il carico di eventuali prestiti non pagati sui bilanci. Un modo per affrontare a monte il problema delle tempistiche imposte per il calcolo a bilancio dei crediti deteriorati.

La prima richiesta concreta era la dotazione adeguata del fondo, che la legge di bilancio rifinanzia su un quinquennio fissando il culmine del bisogno al 2024. Secondo il testo della legge finanziaria il fondo viene aumentato di 500 milioni di euro per il 2022, 1000 milioni per il 2023, 1.500 nel 2024, 1.000 milioni di euro per l’annualità 2025 e di 500 milioni di euro per l’annualità 2026.

La seconda era una ulteriore proroga automatica delle moratorie sui prestiti fino al 30 settembre 2021 e la possibilità di rinegoziare la durata dei finanziamenti, dettagliando precisamente la tipologia di prestiti da coinvolgere nelle nuove scadenze e le tempistiche. Il documento suggeriva che quelle misure sarebbero state vantaggiose per il fondo dello stato perché avrebbe evitato «una possibile accelerazione dell'escussione delle garanzie». La legge di bilancio ha aperto alla rinegoziazione dei finanziamenti. Tuttavia la proroga automatica si ferma alla fine di giugno 2021, in linea con la cornice europea sugli aiuti di stato. Le banche facevano poi presente che l’autorità bancaria europea aveva sospeso le linee guida sulle moratorie e che questo avrebbe creato enormi problemi. Per questo le banche chiedevano misure che avessero «la copertura del regolatore europeo». Da aprile l’Eba ha infatti permesso agli istituti di non classificare normalmente i prestiti sottoposti a moratoria e quindi non pagati. E quindi anche di non valutarli uno per uno. Secondo le nuove regole l’autorità domanda di redigere dei piani per valutare che quei prestiti non entrino nella categoria delle inadempienze probabili. Cioè che non diventino crediti che stanno a metà strada tra i crediti ritenuti solvibili e quelli no. Da settembre era previsto un graduale ritorno alla normalità, ma il 2 dicembre anche l’authority è tornata sui suoi passi. Le procedure ad hoc proseguono, anche se solo fino al 31 marzo. I tempi nella gestione della crisi del debito, per una volta attesa e quindi sulla carta gestibile, sono importanti.

Il caso italiano

Le possibilità di default a un anno su un prestito concesso nel terzo trimestre del 2020 sono aumentate tra il 50 e il 70 per cento rispetto agli ultimi mesi del 2019, dice l’Eba. Secondo le stime contenute nella Financial Stability review della banca centrale europea il patrimonio delle banche dell’Unione sarà tutelato dalle misure dei governi fino ai primi mesi del 2021, poi però dovrebbe iniziare a calare. Le condizioni patrimoniali delle nostre banche sono molto più forti oggi. Ma quel rapporto dice che tra tutte sono quelle che anche se hanno svalutato meno crediti hanno perso più reddito. Questo significa che le aggregazioni spinte da Bce e Banca d’Italia saranno sempre più necessarie. Da qui in una spirale di interesse pubblico e privato i crediti di imposta che valgono miliardi a favore di fusioni tra gli istituti. Che però sono utili anche a oliare il matrimonio fortemente voluto dal Tesoro tra Monte dei Paschi di Siena e Unicredit, su cui in parlamento si è aperta la crisi. Il Movimento cinque stelle prima ha presentato una proposta per limitare la dote, ora chiede un dibattito sulle aggregazioni bancarie. E in pochi hanno soppesato le parole del ministro Roberto Gualtieri sul sì alla riforma del Mes: l’Italia ha fortemente voluto l’anticipo del sostegno al fondo di risoluzione per le banche.

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