Si sta avverando la profezia di Loyola De Palacio, la commissaria europea ai Trasporti dei primi anni Duemila. Valutando gli effetti che la liberalizzazione dei cieli avrebbe avuto in Europa sulle compagnie aeree, De Palacio previde che alla lunga ne sarebbero rimaste in vita due o tre al massimo. E' quel che sta succedendo con una vistosa variante: tra chi resta c'è il colosso low cost Ryanair che la commissaria spagnola non aveva messo in conto. Il Covid sta accelerando il processo.

Nonostante la pandemia, Air France e Lufthansa riusciranno a ripartire; Alitalia, invece, è molto difficile riesca a passare la nottata. La trattativa avviata con l'Unione europea dal governo italiano è finita in un vicolo cieco.

A differenza dei grandi concorrenti europei che erano sostanzialmente in buone condizioni prima del Covid, la compagnia italiana da almeno un quindicennio è nei guai.

Vari governi per non farla precipitare hanno provato a sostenerla con tanti soldi: 900 milioni di euro dopo il fallimento del 2017 (ministro Carlo Calenda) e più di recente altri 400 milioni con il ministro 5 Stelle Stefano Patuanelli.

L'Unione europea non ha mai detto se quei quattrini sono o no da considerare aiuti di stato: ha lasciato la faccenda in sospeso e anche questa incertezza ora pesa sulla trattativa. Sia i finanziamenti di Calenda sia quelli di Patuanelli sono comunque finiti in fretta, perché anche il commissario Giuseppe Leogrande non è riuscito a raddrizzare la situazione.

Asimmetria europea

Ora Alitalia non è più neanche in grado di pagare con regolarità gli stipendi agli 11 mila dipendenti e la Commissione Ue, che autorizza senza pensarci due volte aiuti miliardari a Lufthansa e Air France, centellina alla compagnia italiana perfino le poche decine di milioni di euro (meno di 25 l'ultima volta) necessari per evitare il finimondo sociale.

Il professor Ugo Arrigo, consulente in passato di vari ministri dei Trasporti, ha calcolato  questa disparità di trattamento: nel 2020 il sostegno autorizzato a favore di Alitalia è stato di 297,2 milioni di euro, pari al 9,5 per cento del fatturato prima del grande crollo per la pandemia. Nelle casse di Lufthansa il florido stato tedesco ha infilato 11 miliardi di euro e la Ue non ha mosso ciglio. Se l'Europa avesse adottato con la Germania lo stesso parametro usato con Alitalia i miliardi di aiuti sarebbero dovuti essere più di 4 volte inferiori: 2,6 miliardi di euro.

La giustificazione fornita dall'Ue di tanta intransigenza è all'apparenza ineccepibile da un punto di vista formale: prima del Covid le altre compagnie erano a posto e oggi vale la pena sostenerle, con Alitalia abbiamo già dato, sarebbe ingiusto insistere. Il risultato è però paradossale: nonostante la pandemia abbia causato danni sui conti di tutte le aziende aeree, quelle che vengono aiutate di più sono anche quelle che si trovavano in condizioni migliori e chi stava peggio viene lasciato crepare.

C'è un'asimmetria di trattamento che sembra ledere la concorrenza: non potendo decretare per via ufficiale la morte della compagnia italiana, l'Unione europea sta  accelerando il decorso della malattia verso l'esito inevitabile.

Finora la trattativa avviata a Bruxelles dal governo italiano con la Commissione Ue non ha dato risultati. A gennaio la commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager in una lettera al governo italiano aveva indicato ben 108 punti da chiarire per poter concedere l'assenso all'avvio di Ita, il nuovo logo che nel frattempo si erano inventati a Roma per camuffare una parvenza di discontinuità con la passata gestione Alitalia.

A distanza di oltre tre mesi siamo ancora allo stesso punto nonostante nel frattempo in Italia sia cambiato il governo e ci sia un nuovo ministro dello Sviluppo economico, il leghista Giancarlo Giorgetti al posto del grillino Patuanelli.

Cambio di strategia

Dopo alcuni blandi tentativi propagandistici per far credere che la trattativa stava procedendo per il verso giusto, da ultimo anche il ministro ha dovuto riconoscere che c'è uno stallo e bisogna «cambiare strategia».

La proposta italiana all'Ue si basava su un piano industriale assai debole che sulla base di un finanziamento pubblico di 3 miliardi di euro a Ita prevedeva un taglio della flotta da 104 aerei a 52 con metà dei dipendenti, 5 mila al posto degli 11 mila attuali.

Poi il numero degli aerei era sceso a 47 e si parlava addirittura di un ripescaggio di soli 3 mila dipendenti, tanto che qualcuno aveva fatto notare che avendo stanziato 3 miliardi, lo stato italiano stava spendendo 1 milione di euro a testa per salvare il posto di lavoro a ciascuno di essi.

Il cambio di strategia annunciato dovrebbe consistere non nella cessione degli asset Alitalia a Ita. come era stato previsto, ma in un semplice affitto di rami d'azienda.

Ammesso sia possibile, se non è zuppa è pan bagnato: con quel piano industriale e quelle dimensioni Alitalia o Ita che sia non può stare sul mercato. Troppo piccola per competere con Lufthansa e Air France, troppo ingessata per tenere testa a Ryanair.

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