La strategia di Donald Trump è “occhio per occhio, dente per dente”. Giovedì alle 19 ora italiana il presidente degli Stati Uniti ha annunciato un giro di vite sul fronte dazi che prenderanno la strada delle misure reciproche. «Ho deciso, per correttezza, che applicherò dazi reciproci. Non applicheremo loro niente di più o niente di meno. In altre parole, loro applicano una tassa o una tariffa a noi e noi applicheremo loro esattamente la stessa tassa o tariffa. Molto semplice». L’obiettivo è pareggiare i conti con i paesi che impongono tasse sui beni americani e risolvere così le «pratiche commerciali sleali».

Nello specifico ha detto che a breve arriveranno misure specifiche sul settore automotive e ha lasciato intendere che l’Europa potrebbe essere particolarmente colpita: «Gli alleati degli Stati Uniti sono spesso peggio dei nostri nemici sul fronte commerciale».

Per l’Italia gli Stati Uniti sono il secondo più importante paese importatore di beni italiani (dopo la Germania) e il primo tra quelli fuori dall’Unione europea.

Considerando che l’export italiano vale più o meno un terzo del Pil, basta questa prima frase per capire quanto dannosa possa risultare una politica di chiusura al commercio da parte degli Stati Uniti. Eppure, sembra proprio quello che ci aspetta nei prossimi mesi. Trump ha già introdotto dazi al 25 per cento sui prodotti che arrivano da Canada e Messico (poi sospesi) e un ulteriore 10 per cento sulle importazioni dalla Cina, applicati con effetto immediato. Questo destino toccherà anche all’Unione europea e, quindi, all’Italia. Quale sarà l’impatto? Sarà davvero il disastro annunciato? Probabilmente no, ma rischia comunque di mettere in seria difficoltà il nostro sistema produttivo, già abbastanza zoppicante negli ultimi mesi.

Il confronto con il 2017

Sull’impatto dei dazi è interessante leggere la nota “La nuova politica commerciale degli Stati Uniti” appena pubblicato dal Centro Studi di Confindustria, un documento che prova proprio a riassumere quali potrebbero essere le conseguenze sull’Italia di una nuova introduzione di dazi da parte degli Stati Uniti. Il documento si apre con un primo spunto molto importante: la situazione è molto diversa dal 2017. Quando Trump si è insediato per la prima volta, il suo disegno intorno alla guerra commerciale riguardava nello specifico proprio il commercio: secondo il Presidente e i suoi sostenitori, gli Stati Uniti importavano troppo ed esportavano troppo poco e questa tendenza andava invertita. Oggi, invece, i dazi sembrano avere innanzitutto un intento politico: vengono usati per minacciare i paesi che dipendono dal commercio con gli Stati Uniti, per provare a ottenere risultati su fronti che con il commercio contano poco o niente. In quest’ottica, le conseguenze negative dei dazi sull’economia americana contano ancora meno di quanto non facessero otto anni fa. A Trump e ai suoi elettori non interessano i risultati dal punto di vista economico, anche perché, a livello aggregato, i dazi non hanno un impatto così rilevante su un’economia enorme come quella americana. Secondo Confindustria, il Pil americano si ridurrebbe dello 0,2 per cento rispetto a uno scenario senza dazi. Quello che Trump e i suoi si aspettano è di ottenere vittorie su questioni come la lotta alla criminalità e all’immigrazione. Non è un caso che i dazi su Canada e Messico siano stati immediatamente sospesi dopo le promesse di rafforzamento dei controlli alle frontiere.

Le conseguenze economiche

Il fatto che le ragioni dei dazi siano politiche non significa che non ci saranno conseguenze economiche, soprattutto per paesi che dipendono moltissimo dal commercio internazionale come l’Italia. Lo studio di Confindustria offre una panoramica sull’entità dell’impatto e sui settori che sarebbero più esposti. Il modo migliore per farlo è andare a vedere chi esporta di più verso gli Stati Uniti, e in Italia si parla di quasi tutti i settori della manifattura.

A essere più esposta verso il mercato statunitense è l’industria dei macchinari, che ogni anno registra un surplus, ossia una differenza tra esportazioni e importazioni, superiore ai 10 miliardi di euro.

Seguono la produzione di autoveicoli e quella di altri mezzi di trasporto, che sommate producono quasi 10 miliardi di surplus ogni anno. Il nostro paese esporta anche molti prodotti farmaceutici: 3,7 miliardi di surplus nel solo 2023. Meno rilevante il peso dell’agroalimentare, ma solo se si vanno a vedere i dati in termini assoluti. Se si considera invece il peso del mercato americano per questi prodotti, l’esposizione diventa molto più seria: circa un quarto dei prodotti alimentari esportati dall’Italia fuori dall’Unione europea finisce negli Stati Uniti, mentre per le bevande questa percentuale sale al 40 per cento. Questo significa che, in caso di dazi su prodotti come il vino, questi influenzerebbero quasi metà del mercato delle esportazioni extra europee per i produttori italiani.

C’è poi un altro fattore da considerare: la nostra minore esposizione alle importazioni statunitensi, che riduce ulteriormente il nostro peso contrattuale. A una minaccia degli Stati Uniti di bloccare l’arrivo delle nostre merci, infatti, l’Italia difficilmente potrebbe fare la voce grossa ipotizzando di non comprare più prodotti americani: i nostri acquisti valgono infatti solo l’1,2 per cento del totale delle esportazioni statunitensi nel Mondo. Un caso esemplare è quello delle auto: ogni anno l’automotive italiano esporta prodotti per 12,4 miliardi di euro negli Stati Uniti, mentre ne importa solo 1,9. Anche rifiutandoci di acquistare le auto americane, difficilmente riusciremmo ad avere un peso sufficiente per evitare dazi sulla nostra industria.

Qualsiasi saranno le decisioni di Trump, la nuova politica del Presidente ci lascia impotenti di fronte a un’economia talmente grande da poter dettare legge nonostante la sua forte dipendenza dalle importazioni (gli Stati Uniti sono il più grande importatore al Mondo). C’è un lato positivo (dal punto di vista economico, soltanto): forse per ottenere delle concessioni dal punto di vista commerciale, non sarà necessario fare delle rinunce economiche. Invece sarà probabilmente necessario fare delle concessioni politiche. Più in generale resta da chiedersi quale sarebbe il prezzo da pagare.

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