Vivere di turismo e bene nonostante la pandemia. Mentre gli albergatori piangono, i ristoratori scendono in piazza per la disperazione e i gestori dei bar non sanno più a che santo votarsi, c’è una categoria di fortunati che è riuscita a guadagnare perfino più di quanto guadagnava prima del Covid-19.

Sono i tour operator, baciati in fronte da decisioni del passato governo (ministro della Cultura e del turismo Dario Franceschini, Pd) che li hanno di fatto resi dei privilegiati. Pier Ezhaya, amministratore di Alpitour e presidente di Astoi, l’associazione confindustriale dei tour operator, con onestà intellettuale dichiara: «Siamo soddisfatti dei ristori per il periodo marzo-luglio» che è il periodo più importante per la vendita dei pacchetti viaggi e nel 2019, anno di riferimento per i ristori, fu addirittura da incorniciare grazie al ponte lungo giovedì 25 aprile-mercoledì 1 maggio che consentiva una settimana e mezzo di vacanza con appena tre giorni di ferie.

Anche il presidente dei tour operator, però, ha la sua piccola lamentela da esporre, precisando che i quattrini «non sono ancora arrivati integralmente nelle casse delle imprese». Che è come dire: saremo davvero felici quando anche i soldi rimanenti saranno riscossi.

Con diplomazia e spirito solidaristico il presidente dei tour operator si augura che anche gli altri operatori del turismo, dagli albergatori ai ristoratori, «abbiano i ristori che si meritano perché il turismo è stato indiscutibilmente il settore più colpito dalla pandemia ed è fermo da un anno». Anche se, per la verità, il fermo che ha colpito tutti è stato forato da una finestra spalancata dal governo ancora a favore dei tour operator a cui è stato permesso di lavoricchiare vendendo viaggi all’estero e non in Italia.

Il risultato è stato un boom di prenotazioni per il week-end del 25 aprile verso Canarie, Baleari e Portogallo, che vogliono dire incassi per i tour operator in un momento in cui tutti gli altri restano a bocca asciutta. Gli albergatori italiani hanno protestato molto e il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha offerto un contentino che in realtà non accontenta nessuno: 5 giorni di quarantena per chi rientra da una vacanza all’estero.

13mila imprese

I tour operator sono una categoria ampia, composta da quasi 13mila aziende molto diverse tra loro: dalle piccole agenzie di solito a conduzione familiare con una saracinesca sulla strada fino ai grandi colossi. Come Alpitour, che è sul mercato da 74 anni e fattura 1,7 miliardi di euro. O Uvet, guidata da Luca Patané, presidente dei tour operator Confcommercio, che ha un giro d’affari di 3 miliardi e 2mila dipendenti. In mezzo ci sono i grossisti dei viaggi, quelli che a conti fatti stanno guadagnando proporzionalmente di più in era Covid. Le piccole agenzie che dipendono dai grossisti stanno invece uscendo malissimo dalla pandemia, molte alzeranno bandiera bianca.

I grossisti lucrano sulla differenza tra il prezzo di acquisto dei servizi (biglietti aerei, camere d’albergo, noleggio di auto e così via) e il prezzo di vendita alle agenzie di viaggio o anche ai clienti singoli su Internet tramite i portali. Di solito il margine che spuntano è in media tra il 2 il 3 per cento, ma il decreto Ristori è andato più in là e generosamente ha riconosciuto loro un contributo addirittura superiore, pari al 5 per cento della differenza tra il fatturato 2020 e il fatturato 2019.

Di più: per i tour operator e solo per loro il governo italiano ha chiesto all’Unione europea di superare con una deroga il cosiddetto de minimis, cioè il limite dei 200mila euro per ogni singola elargizione di contributi statali. Con i tour operator la soglia fissata è più di 10 volte superiore e i contributi statali possono arrivare a fino a 2 milioni e mezzo di euro.

Giochino da 700 milioni

Facciamo un esempio: considerato che le vendite di viaggi si concentrano tra Pasqua e la fine dell’anno, la differenza tra fatturati 2020 e 2019 coincide in pratica con la perdita dell’intero fatturato 2020. Se un grossista nel 2019 aveva fatturato 10 milioni di euro, alla fine aveva portato a casa un margine lordo tra i 200mila e i 400mila euro su cui avrebbe poi dovuto pagare le tasse.

Avendo avuto dal governo il superamento del de minimis e il riconoscimento del 5 per cento sulla perdita di fatturato, lo stesso grossista sta incassando in era Covid 500mila euro netti (esentasse) a fronte di costi fissi quasi del tutto assenti, considerato che i dipendenti sono in cassa integrazione.

Questo giochino sta costando circa 700 milioni di euro alle casse statali.

I destino degli altri

Il confronto con quanto capita con i ristori Covid agli altri operatori turistici è eloquente. Il ristoro è riconosciuto a tutte le aziende alberghiere e della filiera del turismo con una percentuale che varia tra il 60 per cento del fatturato perso per le aziende con un fatturato fino a 100mila euro e il 20 per cento per le aziende con fatturati da 5 a 10 milioni di euro.

Il tutto condizionato, però, da due vincoli stringenti: il limite di fatturato a 10 milioni di euro ritenuto ingiusto dagli operatori più grandi, sempre invitati a crescere per superare il nanismo imprenditoriale che penalizza il turismo italiano e alla prima occasione esclusi dai benefici proprio perché grandi.

E poi il de minimis per cui ogni impresa non può ricevere un ristoro superiore a 150mila euro. Di fatto, con un fatturato da 10 milioni di euro un tour operator incassa 500mila euro di ristori. Chi non è tour operator riesce al massimo a farsi dare 3 volte di meno.

© Riproduzione riservata