Il fondo di investimento americano Kkr ha presentato ieri ufficialmente una offerta non vincolante per la rete telefonica di Tim. E il risultato è che il titolo di Tim ha registrato un rialzo in borsa del 9,5 per cento, raggiungendo un valore che non vedeva da fine maggio, e cioè dal giorno della firma del protocollo di intesa, anche questo non vincolante, sul progetto di integrazione tra la rete di Tim e di Open Fiber. Negli ultimi tempi, c’è molto di non vincolante attorno al destino della più grande società telefonica italiana. Il valore delle sue azioni che ormai da aprile del 2022 è sempre rimasto inferiore ai 30 centesimi ed è appeso ormai direttamente a progetti sulla rete telefonica che vengono annunciati e non realizzati, a memorandum di intesa, a dichiarazioni di membri del governo, a tavoli – l’ultimo il 27 gennaio scorso – che non portano a nessun passo avanti. Insomma, a niente che abbia davvero a che fare con l’operatività di un’azienda da decine di migliaia di dipendenti.

Il crollo del 2022

Il fondo Kkr aveva già presentato una offerta pubblica di acquisto per la società telefonica sul finire del 2021, anche lì mandando in fibrillazione il mercato azionario, anche lì una offerta non vincolante, benvenuta dallo stesso amministratore delegato Luigi Gubitosi che poco tempo dopo si era dovuto dimettere inchiodato da perdite superiori a otto miliardi, lasciando l’amministratore che lo ha sostituito Pietro Labriola a sbrogliare la matassa di una offerta allora campata in aria e progetti non chiari.

Con la notizia delle dimissioni di Gubitosi, il 26 novembre 2021, le azioni di Tim valevano 0,48 centesimi in Borsa, ieri pure dopo un rally di acquisti, 0,29 centesimi, un valore quasi dimezzato. Quest’anno il titolo è crollato sull’onda di una incertezza costante sul destino della società, inaugurata con il piano industriale presentato lo scorso marzo.

Scilla e Cariddi

Ieri i dati del focus bilanci dell’Agcom hanno certificato che tutto il comparto delle telecomunicazioni elettroniche soffre: tra 2017 e 2021 i ricavi del settore sono calati in media del 10 per cento, trascinati in basso proprio dai servizi sulla rete mobile. Tim, zavorrata dal debito, deve valorizzare la sua rete più di prima, ma è stretta tra Scilla e Cariddi. Scilla è un governo che ora vuole una rete pubblica nazionale ma che ha fatto saltare tutte le ipotesi messe in campo finora dalla sua stessa partecipata, Cassa depositi e prestiti per una rete unica, che aveva promesso una soluzione entro la fine dell’anno e siamo a febbraio e che non ha nemmeno margine di manovra sui conti per poter aiutare il settore in maniera cospicua: i tagli dell’Iva di cui si discute da settimane sarebbero meno generosi di quanto sperato e chissà quando arriveranno.

Cariddi è un azionista di maggioranza, Vivendi, che di fronte a un investimento in perdita, vuole incassare il massimo, avanzando ipotesi di prezzo per la rete che non hanno alcun riscontro tra gli analisti: più di 30 miliardi di euro. Considerata la capitalizzazione in borsa, è un valore superiore pure all’intero valore della società. E che da ultimo, ha deciso anche di lasciare il consiglio di amministrazione per tenersi le mani libere.

La nuova offerta di Kkr

In questo vuoto, la nuova offerta non vincolante per la rete di Kkr è ben diversa dall’ipotesi di opa mai realizzatisi di oltre un anno fa, che è stata utilizzata da cortina di fumo sui conti in rosso. Oggi, come Vivendi anche Kkr ha un investimento da difendere: Kkr Infrastructure ha il 37,5 per cento di Fibercop, la società in cui è confluita la rete secondaria di Tim. E la sua offerta è considerata una strada per uscire dall’incertezza.

Da Tim ricordano che l’amministratore delegato Pietro Labriola ha sempre detto a tutti gli interlocutori di avere in mano un piano B. Insomma l’offerta di Kkr non sarebbe arrivata all’improvviso, sarebbe la risposta al nulla di fatto di tutti quelli che attorno alla rete di Tim chiacchierano da tempo e all’incertezza in cui l’azienda è precipitata.

I comunicati incrociati diffusi ieri dal ministero delle Imprese e dal fondo di investimento americano sembrano aprire a una reciproca possibile collaborazione. Gli analisti si affrettano a valutare i vantaggi regolatori che potrebbero venire se Cassa depositi e prestiti uscisse di scena – azionista di Open Fiber e anche di Tim dovrebbe affrontare i limiti dell’Antitrust. Ma la verità è che siamo sempre all’offerta non vincolante, e qualsiasi sia il risultato finale, che in finanza e in politica spesso non è concreto, a oggi sono due gli effetti reali a breve termine.

Rinvio al 24 febbraio

Il primo è appunto l’ennesima montagna russa delle azioni, la seconda smuovere le acque e fissare un prezzo che costringa l’interlocutore pubblico a pagare una plusvalenza in tasca ai privati senza arrivare alle lievitazioni ipotizzate da Vivendi. Le prime indiscrezioni, mentre il consiglio di amministrazione di Tim è ancora in corso, indicano un valore attorno ai 20 miliardi di euro: un prezzo della rete che pure molto inferiore a quello

voluto dai francesi, sarebbe comunque ben più remunerativo dei calcoli degli analisti indipendenti. E il comunicato finale rilasciato a fine del consiglio lascia ancora il campo completamente aperto: il cda si riunirà di nuovo il 24 febbraio per valutare l’offerta non vincolante ma è aperto a ogni «possbile alternativa».

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