L’Unione europea ha il suo bottone rosso: la possibilità di imporre «rimedi strutturali» ai grandi oligopoli del big tech in caso di «numerose e ripetute» violazioni alle regole. Dopo mesi di attesa, settimane di rinvii, il Digital Services Act (Dsa) e il Digital Markets Act (Dma) presentati ieri a Bruxelles dalla commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager e dal commissario all’industria Thierry Breton, modificano i rapporti di forze nel campo dell’economia digitale. E aggiornando finalmente una regolamentazione della rete ferma da vent’anni – l’ultima direttiva risale all’anno 2000 quando le connessioni migliori erano in chilobit –  si candidano a diventare tra le più importanti leggi dell’Unione «per i decenni a venire», come ha detto Breton, 

Come le banche nel 2009

Il commissario Breton aveva definito le società del Big tech «come le banche nel 2009», cioè aziende diventate il pilastro del sistema, ma che devono essere riformate dall’interno per permettere al sistema di prosperare. Come nel sistema bancario, anche in quello tecnologico le piattaforme soggette alle regole saranno quelle sistemiche: con il primo regolamento la Commissione ha previsto una responsabilità rafforzata per le «grandi piattaforme», cioè quelle con almeno 45 milioni di utenti, pari a circa il dieci per cento della popolazione europea. Mentre il secondo si applica solo ai gatekeeper, i guardiani della rete. E comprensibilmente molto si è giocato sui criteri per definirli (ieri Booking già protestava per essere inclusa nel gruppo).

I gatekeeper, dice il testo, sono società con una presenza dominante sul mercato, attive in almeno tre paesi Ue che hanno registrato un volume di affari di almeno 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni finanziari o una capitalizzazione di mercato di almeno 65 miliardi di euro nell’ultimo anno. Hanno almeno 45 milioni di utenti attivi al mese o 10mila imprese che usano i suoi servizi annualmente. Vestager ha dichiarato che sta alle stesse imprese notificare se rientrano nella definizione e che le istituzioni potranno condurre indagini per capire se ci sono gatekeeper emergenti. «Queste proposte», ha sintetizzato Breton, «non sono qui per dire quest’azienda è troppo grande, ma per dire che più grande sei, più responsabilità hai».

Grandi poteri, nuove responsabilità

Secondo le nuove regole tutte le piattaforme online che operano in uno stato dell’Unione europea devono avere un rappresentante legale.  Le grandi piattaforme avranno nuovi obblighi sul fronte dei contenuti: piattaforme come YouTube o Facebook dovranno per esempio pubblicare report regolari sulle attività di vigilanza sui contenuti pubblicate e ogni volta che rimuovono un contenuto o che bloccano un utente dovranno spiegare perché e dare anche la possibilità gratuita e entro un periodo di tempo di almeno sei mesi di presentare un reclamo.

Spiegare l’algoritmo 

Le firme dell’e-commerce saranno obbligate a controllare le informazioni dei venditori del loro market place prima di permettere loro di vendere. E tutti coloro che ospitano pubblicità online dovranno essere trasparenti sull’origine di quella pubblicità e sul perché è proposta a me come utente. Il Digital services Act, ha detto Vestager, «impone di spiegarci come funzionano gli algoritmi, come gli inserzionisti cercano influenzarci, per darci l’opzione di scegliere se fidarci o no». Su tutto questo vigilerà il controllore nazionale ma quello non di origine della piattaforme, bensì quello di destinazione dei servizi degli utenti. 

Dati e concorrenza

Le più grosse novità sono introdotte però dal Digital markets Act. La proposta di legge obbliga, infatti, a garantire l’interoperabilità: tradotto in un esempio significa che una piattaforma di e-commerce che utilizza un proprio sistema di pagamento deve permettere di usarne anche altri, e così via per tutti i mercati, dalle app ai motori di ricerca. Vieta le pratiche  auto preferenziali, cioè che danno vantaggi al gatekeeper e che se riscontrate possono tradursi anche nell’obbligo di modifica degli algoritmi. E vieta alle piattaforme anche di utilizzare i dati dei propri utenti per competere con loro – il divieto più controverso, non perché non giusto in via di principio, ma perché più diffiicile da verificare e che arriva proprio mentre sulla testa di Amazon pende una multa miliardaria. Il Digital Markets ofrre nuovi strumenti alla vigilanza Antitrust. 

Le sanzioni

Per capire l’efficacia di una legge bisogna comunque guardare alle sanzioni: per le violazioni del Digital Services Act sono previste multe fino al sei per cento dei ricavi. il Digital Markets Act arriva fino al dieci per cento dei ricavi per chi viola ripetutamente le norme, si tratta della stessa proporzione prevista per le sanzioni dell’antitrust e che non ha mai toccato il massimo della quota. Infine può scattare l’imposizione di rimedi strutturali, ma in caso di «numerose» e «ripetute» violazioni, ha detto Vestager. Un passo avanti considerando che negli ultimi mesi la vicepresidente si era sempre schierata contro la possibilità di arrivare alla «opzione nucleare» in contrasto con il commissario francese preso di mira da una precisa campagna di attacco di Google.

Andreas Schwab, uno dei due eurodeputati che nel 2014 proposero per primi lo spacchettamento in una risoluzione poi approvata a larga maggioranza, dice che queste leggi serviranno a «garantire che i principi fondamentali dell'economia sociale di mercato rimangano validi nell'era digitale».

Tommaso Valletti, esperto di politiche antitrust del settore digitale, che ha lavorato con Vestager come ex capo economista Ue alla concorrenza, dice che la direzione è giusta: «Si riconosce implicitamente che con la politica alla concorrenza ex post non si viamolo lontani: si arriva tardi e la concorrenza perduta non si recupera». Ma avverte anche che «siamo solo all’inizio». Perché i due regolamenti diventino legge bisognerà aspettare l'approvazione del parlamento e del consiglio, almeno altri due anni di lobbying intensa e di battaglie sulle parole. 

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