Ho letto in queste settimane delle vicissitudini anche in Borsa della Juventus: il titolo è crollato per l’inchiesta della procura di Torino sulle plusvalenze sospette. Investire sulle azioni del calcio è un investimento coi piedi o potrebbe essere un affare nel lungo periodo? Si potrebbe approfittare di questa fase per entrare sui ribassi e così medio il prezzo di carico? Ci sono fondi d’investimento specializzati in questo comparto?

T.

Gentile T.

Peter Lynch, uno dei più grandi money manager della storia, diceva: «Investite solo nei business che anche un idiota può amministrare, perché presto o tardi un idiota probabilmente li amministrerà». Per perdere soldi ci sono diversi metodi ma quello di essere azionisti delle squadre di calcio è fra i più efficaci. Troppe le incertezze, i fatti imprevedibili e volubili, perché la palla è veramente rotonda. Investire seriamente in questo business è troppo rischioso: nitroglicerina quasi pura. Salvo che non commerciate naturalmente in giocatori come Mino Raiola o siate un po’ «ricchi e scemi» come pensava Giulio Onesti, presidente del Coni, dei presidenti di calcio italiani e sperate di trovarne uno (il giorno che cederete le azioni della società) più grande di voi. Nel 1992 fu creato un indice azionario europeo che misurava l’andamento in Borsa dei club quotati, il Dow Jones Europe Stoxx Football. Lo scorso agosto questo indice è stato dismesso (non c’erano file di investitori istituzionali interessati evidentemente) ma in un periodo di tempo certo significativo il rendimento di un ipotetico investitore che replicava questo indice sarebbe stato sostanzialmente poco più di zero in 30 anni. E con botte da orbi per chi fosse entrato sui massimi (-80 per cento dai picchi del 1998).

Per fare un confronto, nello stesso periodo un risparmiatore che avesse investito nel più noioso indice azionario europeo Euro Stoxx che raggruppa tutte le principali società quotate in tutti i settori avrebbe moltiplicato per quattro il capitale di partenza. E senza considerare un 2 per cento in più ogni anno mediamente di dividendi percepiti rispetto a chi ha puntato sul pallone. «Acquisire azioni delle società di calcio può senza dubbio essere un affare», assicurava Sergio Cragnotti (ex n.1 della Cirio condannato poi per bancarotta fraudolenta), patron della Lazio, il primo club calcistico a quotarsi a piazza Affari nel 1998.

Il tifoso azionista laziale da quel lontano collocamento oggi è in rosso del -95 per cento: in pratica ha perso quasi tutto. E nell’ultimo anno anche la Juventus in Borsa è precipitata ben sotto il prezzo del collocamento del 2001 e in queste settimane si è rimangiato anche il famoso “effetto Ronaldo” che aveva visto schizzare il titolo nell’estate 2018 con l’annuncio dell’ingaggio del miglior goleador della storia del calcio. È cronaca di questi giorni che i dirigenti più importanti della Juventus sono indagati per falso in bilancio e false fatturazioni. Con un faro sui 282 milioni di euro di plusvalenze generate negli ultimi 3 anni nello scambio dei calciatori. E potrebbero aggiungersi a questa indagine altri manager del pallone perché i giochi arditi di bilancio sono purtroppo da troppo tempo una parte dello show. E in proposito, il commento più bello che ho letto sulla vicenda è stato quello di una grande tifosa della Juventus, Evelina Christillin, che recensendo su Rai Radio 1 una biografia della Contessa di Castiglione, femme fatale del Risorgimento, ha efficacemente sintetizzato: «Aveva soldi, successo e amore: poi si mise a giocare in borsa». E chissà se ogni riferimento è puramente casuale. L’investimento nelle squadre di calcio potrebbe avere anche un senso poiché producono non solo emozioni ma anche contenuti preziosi per lo streaming (televisivo e non) oltre ad altre forme di ricavo come sponsorizzazioni e merchandising. Se fossero aziende gestite con criteri economici e fonti di entrata diversificate le squadre di calcio potrebbero essere quindi prese in considerazione (seppure con le pinze) per un investimento finanziario ma tutto questo, come sappiamo, accade raramente e la sostenibilità dei bilanci è uno sport poco praticato.

Se guardiamo, infatti, i bilanci delle squadre di calcio italiane degli ultimi anni vediamo spesso cose folli con costi della rosa di giocatori anche di centinaia di milioni di euro (anche il 70 per cento in Europa secondo l’agenzia di rating Fitch), pagamenti sospetti a procuratori e mediatori di ogni tipo, talvolta fideiussioni false, buchi di bilancio da brividi, plusvalenze fittizie e tutto questo spesso accade perché i conti non starebbero in piedi per moltissime squadre. Se si usano le plusvalenze fittizie scambiandosi a valori lontanissimi dalla realtà i giocatori solo per aggiustare i conti, si falsificano sostanzialmente i bilanci e questo nel mondo normale sarebbe un reato. L’idea meravigliosa di alcuni presidenti (non tutti naturalmente) è aggiustare i bilanci con le plusvalenze derivanti dalle compravendite dei tesserati. Ci sono certo quelle vere quando un campione esplode e c’è un’altra squadra che te lo richiede a un prezzo nettamente superiore al “cartellino” ovvero al prezzo di carico in bilancio (il valore di acquisto del giocatore dedotti gli ammortamenti). È successo alla Juventus con Pogba ceduto al Manchester United nel 2016 per 105 milioni di euro con una plusvalenza monstre per la squadra bianconera pure al netto dei 27 milioni di euro corrisposti a Raiola, il procuratore. Ma poi esistono certamente quelle sospette (come quelle su cui sta indagando la procura di Torino). E che non riguardano nel mondo del calcio solo la Signora d’Italia (controllata dal gruppo Exor ovvero Elkann/Agnelli) poiché di cani da 30 milioni di euro scambiati con 2 gatti da 15 milioni di euro se ne trovano in moltissimi club. E non solo in Italia. E questo giochino va avanti da decenni con tante authority e revisori che si sono finora sempre voltate dall’altra parte. Ricordo lo scomparso avvocato Victor Uckmar (ex presidente della Covisoc, la cosiddetta Consob della Federcalcio) che tutte queste cose le denunciava (inascoltato) già oltre 20 anni fa. La pandemia ha peggiorato il quadro ma non è certo la sola causa scatenante della crisi delle squadre di calcio come alcuni presidenti di club sostengono per nascondere la loro pessima gestione e chiedere aiuti e ciambelle o inventarsi cose creative per tappare i buchi e dare un calcio al barattolo (dalla Superlega ai fan token).

I gestori professionali nei fondi d’investimento raramente per queste ragioni non puntano sui club calcistici e non esistono fondi specializzati. Fra i fondi globali, il fondo inglese Lindsell Train detiene il 12 per cento del capitale della Juventus e ha anche in posizione azioni del Manchester United ma sembra deluso dell’attuale management bianconero.

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