Il governo Draghi aumenta l’investimento in istruzione e ricerca e diminuisce quello sugli altri capitoli del piano di ripresa e resilienza, dopo che la tagliola delle linee guida dell’Unione europea, soprattutto quelle ambientali, si è abbattuta sui progetti che il governo precedente aveva raccolto. Nel nuovo piano ci sono meno fondi per la salute e la transizione ecologica, ma bisognerebbe dire meno fondi all’edilizia, più che dimezzati, e alla costruzione di ospedali, ma anche una svolta profonda sulla riforma sanitaria, con la metà dei fondi destinati ai servizi socio sanitari e invece i fondi alla telemedicina triplicati.

La nuova versione del piano domani sarà esaminata dal Consiglio dei ministri, discussa lunedì e martedì in parlamento e poi votata ufficialmente dal governo prima di essere inviata a Bruxelles, in teoria entro la scadenza del 30 aprile.

L’opera di riordino ha portato alla nascita di un fondo parallelo da 30 miliardi che include progetti di tutti i tipi, compresi i fondi per le connessioni veloci e i servizi digitali PagoPa e l’AppIo (quella del cashback). Ma anche quelli per il monitoraggio dei viadotti dell’Anas e della Strada dei parchi e pure i fondi per la ricostruzione per i terremoti del 2009 e del 2016, progetti attesi e che rischiano di attendere ancora. Il governo sostiene che i progetti nel piano parallelo, rispetteranno tutti i criteri del Next generation Eu, (ma allora perché separarli?), con l’unica differenza che potranno sforare i tempi di realizzazione altrimenti previsti al 2026.

Ancora sulla governance

Intanto per il piano ufficiale manca ancora chiarezza sulla governance, cioè il nodo su cui si era aperta la crisi del governo Conte a dicembre: palazzo Chigi sta cercando di trovare una formula per fare in modo che tutti i partiti e i ministri che di quei partiti sono espressione siano accontentati con la garanzia di poter partecipare almeno a turno alla famosa cabina di regia.

Per ora la presentazione destinata al Consiglio dei ministri include i saldi delle sei missioni principali e delle principali componenti. A scorrerli voce per voce e confrontandoli con quelli della versione precedente approvata a gennaio, si scopre che molti progetti sono immutati: non sono aumentati, per esempio, i fondi per gli asili e la scuola dell’infanzia (4,6 miliardi), ma sono stati aggiunti 10 milioni per la valutazione di parità di genere.

Il cambiamento più vistoso è quello sotto il cappello della transizione ecologica che ha perso undici miliardi, a causa del dimezzamento dei fondi per l’edilizia. La versione precedente stanziava ben 18,5 miliardi per l’ecobonus e il sismabonus al 110 per cento, una misura non progressiva e complicata da attuare, che ora sono diventati 10,26 mentre gli altri otto sono scivolati nel fondo parallelo. Ma anche per l’efficientamento energetico degli edifici pubblici i fondi sono stati ridotti a 1,23 miliardi. Sono aumentati invece quelli per la filiera dell’idrogeno e quelli per potenziare e digitalizzare le infrastrutture di rete, progetto a cui aspira per esempio Leonardo, mentre diminuisce di poco meno di un miliardo la quota per l’agricoltura sostenibile e l’economia circolare.

Scende il finanziamento destinato alle infrastrutture, soprattutto perché gli oltre tre miliardi per la logistica si riducono a meno di un decimo. Mentre cresce la porzione per banda larga e 5G. Gli interventi per la coesione territoriale sono più che dimezzati, da una parte perché i finanziamenti per la ricostruzione post terremoto sono stati spostati nel fondo parallelo, dall’altra per via dei tagli alla strategia nazionale delle aree interne, passati da 1,5 miliardi a 600 milioni. Mentre, per esempio, sul fronte del turismo non sono stati intaccati i 500 milioni di euro di fondi per Roma “Caput Mundi”.

La missione istruzione–ricerca spicca per un aumento di circa due miliardi a cui contribuiscono anche fondi per la formazione degli insegnanti. Il piano per la ricerca ora include anche interventi di raccordo con i progetti europei di Horizon e di Ipcei, cioè i progetti strategici di interesse comune, come per esempio la ricerca sulle batterie elettriche e sull’idrogeno.

Alla salute vanno meno fondi di prima, ma soprattutto c’è un cambiamento di sostanza. Il piano precedente dava il doppio dei fondi ai servizi sanitari territoriali con le “case di comunità” 4 miliardi e non i due di oggi: mentre per la cura domiciliare e la telemedicina il miliardo di prima è lievitato a quattro miliardi. Corollario non scritto: più fondi probabilmente alle aziende che si occupano di tecnologia e meno ai servizi socio sanitari, spese meno facilmente finanziabili una tantum.

Nei piani del governo, del resto, le regioni non avranno un ruolo troppo ampio. La presidente dell’Umbria, Donatella Tersei, che è l’interlocutore per il piano nella conferenza stato regioni dice: «Abbiamo iniziato un dialogo che prima non c’era e che continuerà ma saremo soggetti attuatori». Gli enti locali chiedono soprattutto personale competente. E la riforma della pubblica amministrazione sembra essere la più a buon punto tra quelle promesse.

 

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