Mediobanca, si cambia, Nagel al passo d’addio. Mina fiscale per Mps

È l’ora della resa dei conti nella scalata del Monte dei Paschi a Mediobanca, un’operazione a suo modo storica perché cambia gli assetti di potere nell’alta finanza italiana con Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio in cima alla piramide grazie anche all’esplicito sostegno del governo di Giorgia Meloni. Giovedì 18 settembre, giorno di riunione per il cda, è attesa l’uscita di scena degli amministratori di Piazzetta Cuccia, che verranno sostituiti alla prossima assemblea della banca d’affari milanese, in programma a fine ottobre. Lascerà l’incarico, quindi, anche l’amministratore delegato Alberto Nagel, al vertice da 18 anni, ma ancora non si sa chi prenderà il posto. Siena, infatti, dopo aver concluso con una netta vittoria l’ops lanciata in Borsa, deve ancora decidere che fare della preda appena conquistata. Mediobanca, la vittoria Mps è ufficiale: ora si punta a Generali Fusione possibile Molto dipenderà dai risultati della seconda fase dell’offerta, partita martedì e destinata a chiudersi lunedì prossimo. Mps parte dal 62,3 per cento del capitale, ma con le adesioni che con ogni probabilità raccoglierà in questi giorni potrebbe superare quota 80 per cento. In questo caso Mediobanca sparirebbe come società autonoma per essere fusa, mantenendo il marchio, nel Monte dei Paschi. Con il 90 per cento e più diventerebbe comunque obbligatoria una nuova offerta, alle stesse condizioni della prima, per togliere (delistare, come dicono gli addetti ai lavori) Mediobanca dalla Borsa Piazza Affari. Nel frattempo, l’amministratore delegato del Monte, Luigi Lovaglio, e con lui i nuovi azionisti di comando Caltagirone e Francesco Milleri, quest’ultimo in rappresentanza dei Del Vecchio, dovrebbero scegliere la squadra di vertice di Piazzetta Cuccia. Soci, conti e faro Bce: Mps festeggia la vittoria su Mediobanca ma il difficile viene ora Non sarà facile, però, ingaggiare un manager di prima fila nel panorama nazionale se poi il prescelto dovesse accontentarsi di guidare una struttura periferica del gruppo di Siena, per quanto prestigiosa e relativamente autonoma. Senza contare che nei prossimi mesi Lovaglio, che è in scadenza di mandato con l’assemblea dei soci della primavera 2026, sarà chiamato a impostare l’integrazione tra due realtà molto diverse tra loro: da una parte una banca d’investimento attiva anche nella gestione di patrimoni e nel credito al consumo, dall’altra un istituto come Mps con forti radici locali nel centro Italia e specializzato nella tradizionale attività di depositi e prestiti. Un’ulteriore incognita riguarda l’ipotizzato terzo polo bancario nazionale. Davvero il BancoBpm, che come socio del Monte ha sostenuto la scalata a Mediobanca, è destinato a fondersi con Siena, oppure proseguirà in autonomia valutando anche l’opzione di rilevare le attività italiane del suo principale azionista, il Credit Agricole? Interrogativi, questi ultimi su cui sarà chiamato a dare una risposta anche il governo, che nei mesi scorsi ha bloccato la scalata di Unicredit a BancoBpm esercitando il golden power. Meloni e la destra hanno una banca. Ed è un problema Manager alla cassa Proprio le prossime mosse dell’esecutivo in tema di tassazione delle banche potrebbero rallentare il decollo del nuovo Mps. Tra le ipotesi in discussione c’è infatti anche quella di rinviare di un altro anno l’utilizzo come deduzione d’imposta delle Dta (Deferred tax assets) nei bilanci degli istituti di credito. I benefici delle Dta per un totale di 2,9 miliardi nei prossimi sei anni erano uno dei punti di forza dell’unione tra Monte e Mediobanca, ma ora la paventata manovra su questo specifico aspetto potrebbe costare circa 300 milioni di minori utili all’anno per il gruppo di Siena. Il piano sovranista del governo di riportare il debito in mano italiana non sta funzionando Le scelte del governo per la verità rappresentano un’incognita per l’intero sistema bancario e infatti ieri i ribassi dei titoli del settore creditizio, in calo in media di oltre l’1 per cento fino al meno 3,6 per cento di Unicredit) hanno pesato sull’intero listino, sceso dell’1,3 per cento. Giù dell’1,1 per cento circa anche Mediobanca, ma Nagel, al pari di altri top manager di Piazzetta Cuccia, ha già ceduto una parte del suo pacchetto azionario della banca d’affari, incassando 22,7 milioni di euro, il 30 per cento in più di quanto avrebbe ricevuto a gennaio, prima dell’annuncio dell’ops del Monte. La poltrona di numero uno è persa per sempre, ma la buonuscita funziona da ricca consolazione, a maggior ragione se si considera che il manager milanese possiede ancora azioni Mediobanca per un valore di mercato di circa 45 milioni.