Nessun matrimonio con Monte dei Paschi di Siena e nessun progetto di divisione delle attività estere. Giovedì mattina in una manciata di dichiarazioni l’amministratore delegato di Unicredit, Jean Pierre Mustier, ha smentito i due grandi dossier su cui sembrava giocarsi il destino del secondo istituto di credito italiano, giusto poche ore prima che da Siena arrivasse l’annuncio dell’ennesimo bilancio in rosso: poco meno di mezzo miliardo di perdite dovute ai nuovi accantonamenti per far fronte ai rischi legali lievitati a quota dieci miliardi di euro e resi sempre più concreti con la recente condanna degli ex vertici Fabrizio Viola e Alessandro Profumo.

Amministratore delegato di Unicredit ha accantonato per il momento l’ipotesi di creare una subholding internazionale per separare la banca italiana dalle attività straniere, ha smentito l’idea di una operazione di fusione e pure i rumor che lo vogliono in uscita con il rinnovo del consiglio di amministrazione previsto in primavera. Sulla prima questione la spiegazione di Mustier è stata fin troppo cristallina: il Quantitative easing sta facendo il suo dovere e quindi la separazione “rimane un progetto”: cioè finché la Bce tiene a bada il costo del debito pubblico e quindi i costi di finanziamento in Italia, Unicredit non ha bisogno di una “via di fuga” oltrefrontiera.

Sul resto invece tutto appare quantomeno congelato fino alla primavera, quando la banca dovrà rinnovare il consiglio di amministrazione sotto la guida del futuro presidente Pier Carlo Padoan, ex ministro dell’economia che ha gestito la maggioranza delle crisi bancarie italiane e l’acquisizione da parte dello stato del Monte dei Paschi, prima di essere eletto come parlamentare dai senesi.

Salvare ancora Mps

La scelta di Padoan aiuterebbe a oliare un ipotizzato salvataggio di Mps da parte di Unicredit che fino a ieri era l’opzione apparentemente più solida, seppure mai ufficialmente confermata, sul tavolo del Ministero dell’Economia e delle finanze. Nel frattempo l’operazione di cessione dei decreti deteriorati ad Amco, annunciata come la soluzione dei guai della banca senese, è diventata solo il primo passo dell'ennesima operazione di ricapitalizzazione di almeno 2,5 miliardi.

La banca ha fatto sapere di valutarla «con il pieno sostegno dell'azionista di controllo», cioè il Mef. Ma intanto, solo per aver accantonato 569 milioni di euro per far fronte ai contenziosi giudiziari ed extragiudiziari, l’istituto ha registrato perdite per 451 milioni di euro. Nella conference call con gli analisti, l’ad Guido Bastianini ha dichiarato: «Siamo stati molto prudenti». Giudizio molto generoso, visto che in totale gli accantonamenti arrivano ad appena 768 milioni, meno di un decimo dei risarcimenti richiesti.

La Fondazione Mps, che ha chiesto 3,8 miliardi di danni per gli aumenti a suo dire falsati del 2012 e 2013, è silenziosamente sul piede di guerra, anche se sarebbe disposta a essere pagata con una partecipazione al capitale. Un accordo sembra sempre meno rinviabile, ma il problema al momento è soprattutto garantire che il capitale ci sia. La situazione dei conti è tale da rendere difficilmente percorribile anche la via dell’emissione di obbligazioni subordinate per raccogliere liquidità.

Nel frattempo a Siena erano talmente convinti di una vendita imminente che il sindaco Luigi De Mossi ha incontrato in via riservata il responsabile della soprintendenza ai Beni culturali per chiedere un’ulteriore analisi del patrimonio di opere d’arte dell’istituto per aumentare il numero di quelle sottoposte all’obbligo di restare nella collezione cittadina, un patrimonio che spazia dai servizi preziosi ai quadri del Quattrocento: insomma si cerca di difendere, letteralmente, l’argenteria. Il governo, invece, ha il problema esattamente l’opposto: trovare il più rapidamente possibile a chi vendere Mps senza aprire nuove trattative con l’Ue.

Opzioni ridotte

Congelata per ora l’opzione Unicredit, sul tavolo del governo, rafforzata dal probabile sostegno dei sindacati determinati a ridurre il numero degli esuberi e dalla sponda di parte del Movimento Cinque stelle, c’è anche l’ipotesi azzardata di una fusione tra le banche «salvate dalla crisi», che farebbe sposare Mps alla Popolare di Bari e Carige, creando una banca da circa duemila sportelli.

Gli altri istituti intanto si stanno muovendo per rafforzarsi vista la crisi annunciata legata alla pandemia e dopo l’operazione Intesa – Ubi, i negoziati tra Banco Bpm e Crédit Agricole per una possibile fusione sono talmente a buon punto che già ci sarebbe un accordo sui nomi di amministratore delegato e presidente (Giuseppe Castagna e Giampiero Maioli). Le opzioni sono ridotte, il tempo di Mps pure.

 

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