Quando Luigi Lovaglio, questo pomeriggio, si presenterà all’annuale conferenza organizzata da Morgan Stanley a Londra, ribadirà ai grandi investitori internazionali quelli che secondo lui sono i punti di forza di un’ipotetica futura unione tra Monte dei Paschi e Mediobanca. Martedì, davanti alla medesima platea, Alberto Nagel, a capo della banca d’affari che fu di Enrico Cuccia, ha già elencato le sue ragioni, opposte a quelle di Lovaglio.

Generali nel mirino

Lo scontro promette di durare ancora a lungo. L’ops lanciata da Mps su Mediobanca andrà in scena non prima della seconda metà di giugno e forse ancora più in là. Tempi lunghi, quindi, con tutte le incognite del caso, compresa quella politica, visto che l’11 per cento del Monte è ancora di proprietà del Mef e i partiti della maggioranza, pur predicando neutralità, hanno già fatto capire che certo non accoglierebbero come una disgrazia l’eventuale successo di Siena.

Un successo che, a catena, innescherebbe anche il ribaltone alle Generali, di cui l’istituto guidato da Nagel è il socio principale, a tutto vantaggio di Francesco Gaetano Caltagirone e della famiglia Del Vecchio, già presenti in forze nell’azionariato di Mps e di Mediobanca.

Lovaglio, però, a differenza del suo avversario, potrà presentarsi all’appuntamento di Londra con una carta in più da giocare, almeno sul piano dell’immagine. Per l’esperto banchiere che ha gestito il rilancio del Monte, le buone notizie arrivano dalla Borsa. Al traino di un volume di scambi di molto superiore alla media, il titolo dell’istituto toscano mercoledì 19 marzo ha toccato il nuovo massimo storico a 7,93 euro. A fine giornata la quotazione si è assestata a quota 7,82, in crescita del 2,5 per cento rispetto a martedì.

Addio sconto

Il rialzo, però, è solo l’ultimo di un filotto che aveva preso il via giusto una settimana prima, il 12 marzo. Da allora, nell’arco di sole sei sedute borsistiche, l’azione si è rivalutata del 16 per cento circa. Un rimbalzo sorprendente, se si considera che dal 24 gennaio all’11 marzo il progresso era stato inferiore al 3 per cento.

La corsa del titolo porta con sé un altro risultato che certo non dispiace a Lovaglio. Finora, infatti, l’offerta carta contro carta di Mps per Mediobanca aveva viaggiato a sconto. Con le quotazioni correnti in queste settimane, le 2,3 azioni messe sul piatto dal Monte per ciascun titolo della banca d’affari corrispondono a un valore inferiore al prezzo di Borsa di Mediobanca. Uno sconto che condannerebbe l’operazione al fallimento.

Di recente però la forbice si è ristretta di molto. Il divario, che a metà febbraio è arrivato a superare il 15 per cento, sulla base delle quotazioni di mercoledì si è quasi azzerato fino a meno dell’1 per cento. Tra gli investitori circolano le ipotesi più diverse sui motivi di questo boom.

Le ragioni di Nagel

Un report degli analisti di Deutsche Bank diffuso mercoledì accredita le ricadute positive delle nozze tra Mps e Mediobanca e questo può avere alimentato l’ottimismo sul futuro dell’istituto senese. Uno scenario, quello disegnato da Deutsche Bank, che è però l’esatto contrario di quanto Nagel ha ribadito martedì alla conferenza di Morgan Stanley. Dall’unione «non vediamo sinergie», ha detto il manager a Londra, «ma semmai dis-sinergie tali da non essere compensate col taglio dei costi».

D’altra parte, non è da escludere che il tour promozionale di Lovaglio, che da settimane sta incontrando i rappresentanti dei grandi fondi internazionali, abbia migliorato l’immagine di un’operazione che da principio aveva spiazzato buona parte del mercato.

Un’altra ipotesi, non necessariamente in contrasto con quella precedente, è che sul Monte sia in corso un rastrellamento gestito da soggetti interessati alla partita. Nella seconda metà di febbraio, quando il titolo Mps fu protagonista di un altro strappo al rialzo, in Borsa ci si interrogò a lungo sui motivi di quella crescita improvvisa.

Fino a quando, a fine mese, non si venne a sapere che Caltagirone aveva incrementato dal 5 all’8 per cento la propria quota nella banca guidata da Lovaglio. Non è chiaro quando, e come, quel pacchetto supplementare sia stato messo insieme. Di certo è lecito immaginare che l’andamento del titolo sia stato influenzato anche dagli acquisti ordinati dall’imprenditore romano.

Soci forti

Va considerato che il 17 aprile è in programma l’assemblea di Mps ed è possibile che qualcuno dei soci forti punti a consolidare la propria posizione in vista di quell’appuntamento. Come detto, Caltagirone al momento è accreditato di una quota dell’8 per cento in Mps, che si aggiunge a quella di Delfin, la holding lussemburghese della famiglia Del Vecchio, che ha in portafoglio il 9,8 per cento circa.

Oltre al Mef all’11 per cento, nell’azionariato sono poi presenti anche il BancoBpm con il 5 per cento e poi con il 4 per cento Anima, la società di gestione del risparmio su cui lo stesso BancoBpm ha lanciato un’opa partita lunedì scorso e che pare destinata a chiudersi con successo.

Come noto, a metà novembre, il Mef aveva ceduto il 15 per cento di Mps in mano pubblica ai quattro azionisti appena citati. Caltagirone, così come Delfin, in quell’occasione si era aggiudicato una quota del 3,5 per cento a un prezzo che in confronto alle quotazioni correnti, pare a dir poco conveniente. All’epoca le azioni passarono di mano a 5,79 euro, il 5 per cento in più del valore di Borsa di quel giorno, il 13 novembre.

Di lì a poco, però, con l’ops lanciata su Mediobanca lo scenario era destinato a cambiare. E il titolo Mps a prendere di nuovo il volo: più 40 per cento in quattro mesi.

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