Quando nel dicembre scorso un articolo di Domani ha dato conto dei dubbi di molti operatori di mercato a proposito dell’asta con cui il Tesoro aveva ceduto un pacchetto del 15 per cento di Mps, il ministero dell’Economia ha replicato per confermare che le procedure erano state gestite in modo «impeccabile e trasparente».

Nei prossimi mesi, però, il governo potrebbe essere costretto a fornire spiegazioni più dettagliate alla procura di Milano che – si è appreso nella serata di giovedì – ha aperto un’indagine sulle modalità con cui l’azionista pubblico ha privatizzato una quota del Monte dei Paschi cedendolo a quattro azionisti. Un poker di nuovi soci che, come è emerso con chiarezza nelle settimane successive, si muovono in sintonia con l’esecutivo nella grande partita finanziaria, con tanto di ops in Borsa, che sta ridisegnando la mappa del potere bancario in Italia.

In altre parole, l’indagine punta i riflettori su una presunta regia occulta del governo Meloni, che, mentre fa professione di neutralità nella battaglia finanziaria in corso, avrebbe invece manovrato dietro le quinte per favorire i soci graditi al Mef.

Alleati in campo

La vendita del 15 per cento, andata in scena il 13 novembre scorso, si è conclusa con l’ingresso nel capitale di Mps del Banco Bpm, che si è aggiudicato un terzo del pacchetto azionario, mentre il 7 per cento circa è stato spartito a metà tra il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio e, infine, la società di gestione del risparmio Anima, legata al Banco Bpm, ha acquistato un altro 3 per cento.

A dicembre, l’inchiesta di Domani ha rilevato alcune circostanze che, a detta degli operatori interpellati, erano fin da subito apparse piuttosto singolari, rispetto alla procedura che viene di solito seguita in questo tipo di operazioni, definite in gergo tecnico accelerated book building, in sigla Abb. Il sospetto, di cui a dicembre ha dato conto anche un articolo del Financial Times, è che la vendita sia stata predisposta in modo che i titoli finissero a investitori graditi al governo.

Le mosse dei magistrati

Da quanto si è appreso, la procura milanese ha incaricato la Guardia di finanza di acquisire documentazione nella sede di Banca Akros, l’istituto milanese a cui è stato affidato l’incarico di gestire l’asta in Borsa. Proprio questa scelta è apparsa fin da principio sorprendente, per almeno due motivi. Il primo è che Banca Akros è un operatore di piccola taglia rispetto ai colossi internazionali a cui il ministero dell’Economia si era affidato nelle due precedenti occasioni, quando erano entrati in scena Bofa-Bank of America, Jefferies e Ubs. Inoltre, come col senno di poi molti operatori di Borsa hanno sottolineato, Akros fa capo a Banco Bpm, che è uno degli investitori che si sono aggiudicati un pacchetto di titoli Mps.

Coincidenze

Interpellato nel dicembre scorso da Domani, l’ufficio stampa del Mef aveva risposto che Banca Akros è stata scelta perché «ha presentato un’offerta superiore agli altri». Nelle prossime settimane toccherà ai magistrati dimostrare se sono fondati i sospetti circolati nei mesi scorsi e quindi individuare eventuali reati. Al momento l’indagine è ancora ai primi passi, anche se ci sarebbero già alcuni indagati. Secondo quanto ricostruito ieri dal Corriere della Sera, dalle verifiche degli investigatori sarebbe emerso che all’asta di novembre sono stati invitati solo i quattro investitori che poi sono risultati vincenti. E tutti e quattro hanno fatto la stessa offerta del 5 per cento superiore al prezzo allora corrente in Borsa. Intanto, ieri pomeriggio, Akros ha respinto dubbi e sospetti, precisando che l’asta è stata condotta «in modo corretto e trasparente, nel pieno rispetto delle norme e delle prassi che regolano tali operazioni».

A questo punto vanno ricordati due ulteriori fatti che aiutano a chiarire il contesto. Quella di novembre era la terza asta con cui il Tesoro ha ridotto la sua partecipazione nella banca senese, passando in un primo tempo (novembre 2023) dal 64,2 al 39,2 per cento, poi (marzo 2024) al 26,7 per cento e, infine, all’attuale 11 per cento.

Obiettivo Generali

In secondo luogo, strada facendo Mps è diventato lo snodo della grande partita delle scalate bancarie, visto che nel gennaio scorso l’istituto toscano ha lanciato un’offerta pubblica di scambio (ops) su Mediobanca. Un’operazione, quest’ultima, che consentirebbe ai grandi soci di Mps, tra cui Francesco Gaetano Caltagirone e i Del Vecchio, di diventare azionisti di riferimento di Generali. Questo progetto potrebbe però naufragare per effetto della reazione della stessa Mediobanca, che ha messo in vendita il suo 13 per cento di Generali offrendolo come contropartita per rilevare il controllo di Banca Generali, su cui l’istituto di piazzetta Cuccia ha a sua volta lanciato un’ops, che verrà messa ai voti dei soci di Mediobanca lunedì prossimo.

La sfida tra la banca d’affari milanese e Mps, che vede ancora tra i suoi soci principali il governo con l’11 per cento del capitale, si giocherà quindi tra due giorni in assemblea. Alberto Nagel, il numero uno di Mediobanca, può contare tra l’altro sul sostegno dei grandi fondi internazionali, a cui fa capo almeno il 35 per cento del capitale. Il fronte guidato da Caltagirone, che insieme a Delfin controlla il 30 per cento di Mediobanca, si è però rafforzato nelle ultime settimane. L’esito della partita, quindi, è più che mai incerto.

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