Nagel si dimette: «Barbari alle porte di Mediobanca»

Nel giorno del congedo dopo 22 anni al comando di Mediobanca, l'amministratore delegato Alberto Nagel ha scelto una frase latina per rifilare l'ultima stoccata agli scalatori. “Graecia capta ferum victorem cepit”, scrisse Orazio 2 mila anni fa narrando della Grecia che civilizzò i conquistatori romani. Una citazione dotta che Nagel ha ripescato nella sua lettera di commiato ai 6.200 dipendenti della banca d’affari con l’intenzione evidente di alludere ai nuovi padroni di Piazzetta Cuccia, cioè il Monte dei Paschi controllato da Francesco Gaetano Caltagirone e dalla famiglia Del Vecchio, che adattando la frase latina alle vicende bancarie nostrane sarebbero i nuovi selvaggi da educare. Il saluto del numero uno uscente di Mediobanca è stato diffuso ieri mattina poche ore prima che il cda dell’istituto milanese prendesse atto delle dimissioni di 14 dei suoi 15 amministratori. Resta al suo posto il solo Sandro Panizza, a suo tempo eletto nella lista presentata dal socio di minoranza Delfin, la holding lussemburghese dei Del Vecchio che in questi mesi ha appoggiato Mps. Toccherà all’assemblea dei soci di Mediobanca, convocata per il 28 ottobre, nominare il prossimo consiglio, che sarà espressione del Monte. La quota in portafoglio al nuovo azionista di controllo potrebbe superare l’80 per cento del capitale di Mediobanca (e forse anche il 90), a conclusione, lunedì prossimo, della seconda fase dell’offerta in Borsa promossa da Siena. Il diritto difetta e la politica eccede. Lezioni dal caso Mediobanca Svolta storica C’è comunque grande incertezza sugli sviluppi immediati dell’operazione. Luigi Lovaglio, il banchiere a capo del Monte dei Paschi che ha portato a termine la scalata con l’appoggio del governo di Giorgia Meloni, dovrà trovare un nuovo capo azienda per Piazzetta Cuccia. Il manager prescelto (la selezione è stata formalmente affidata a una società di cacciatori di teste) avrà per forza un’autonomia limitata visto che la banca d’affari si troverà a dipendere dalle direttive strategiche impartite da Mps, che, va ricordato, continuerà ad avere il Tesoro tra i suoi principali azionisti. Per Mediobanca è una svolta storica. Cala il sipario sulla creatura di Enrico Cuccia fondata nel 1946, pochi mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Un istituzione che per più di mezzo secolo ha fatto da stanza di compensazione del capitalismo nazionale, respingendo gli assalti della politica. Nagel, nella sua lettera ai dipendenti, ha rivendicato il merito di aver traghettato la banca dalla fase cucciana, chiusa nel 2000 con la morte del banchiere, verso un nuovo status di società ad azionariato diffuso (public company), puntando sulle attività di investimento e gestione di patrimoni, con l’importante costola del credito al consumo. «Ho sempre preferito – ha scritto Nagel nel suo saluto ai dipendenti - l’acquisizione di un wealth manager di taglia e di fascia alta, con ripetuti tentativi effettuati negli ultimi 6 anni, piuttosto che l’unione con una banca commerciale per lo più concentrata sul mass market». Chiara allusione, quest’ultima, al Monte dei Paschi, che da sempre si concentra sulle attività retail e quindi con caratteristiche profondamente diverse da Mediobanca. Mediobanca, la vittoria Mps è ufficiale: ora si punta a Generali Le ricadute su Generali Ora tocca a Lovaglio realizzare un’integrazione che praticamente non ha precedenti sui mercati finanziari. Come prassi in operazioni di questo tipo, nei prossimi mesi Siena dovrà dar conto alla vigilanza della Bce dei piani di sviluppo e di governance, senza dimenticare che Mediobanca, con la sua quota del 13,1 per cento, resta l’azionista principale delle Generali, davanti ai Del Vecchio (10 per cento circa) e a Caltagirone (6,8 per cento). Di fatto, quindi, il gruppo di Trieste è destinato a finire nell’orbita degli stessi grandi soci che con l’appoggio del governo hanno preso il controllo di Piazzetta Cuccia. Ancora pochi mesi e forse già entro la prossima primavera vedremo quali saranno le ricadute del nuovo assetto azionario sugli equilibri interni delle Generali. In altre parole, si capirà se Philippe Donnet, al vertice di Trieste dal 2016 con la benedizione di Mediobanca, ha qualche possibilità di salvare la poltrona. Mediobanca e la rivincita dei finti outsider Per Nagel e altri manager di vertice di Mediobanca l’amarezza dell’addio è invece in qualche modo addolcita grazie ai guadagni da decine di milioni realizzati grazie alla vendita dei titoli della banca d’affari ricevuti negli anni scorsi in aggiunta ai compensi cash. L’ad uscente ha già incassato circa 44 milioni di euro, dato aggiornato a mercoledì sera, ma gli restano ancora azioni che valgono oltre 20 milioni.