Mia moglie aveva ragione. Non è un’esperta di auto, e le Porsche sono fra le poche che riconosce, forse grazie alla forma rimasta simile per decenni. Da un paio d’anni, ogni volta una Porsche ci sorpassa sfrecciando in autostrada, esclama: «Non ne ho mai viste in giro così tante!».

In effetti, nonostante il 2021 sia stato un anno difficile per l’automobile – fra le nuove ondate della pandemia e la carenza di componenti chiave come i semiconduttori – c’è un segmento che ha sfidato la crisi e ha segnato nuovi record: quello delle auto di lusso.

Ecco qualche cifra. La Porsche ha sfondato quota 300 mila consegne mondiali per la prima volta nella sua storia, con un aumento delle consegne dell’11 per cento. D’accordo, Porsche non è un vero e proprio marchio di lusso: in Italia potete comprare la più economica per 61mila euro con Iva, mentre ve ne servirebbero quasi il triplo (176 mila) per una Bentley, oltre 200 mila per una Ferrari o una Lamborghini, e 275 mila per l’auto della regina d’Inghilterra.

Il superlusso, però, ha “tirato” ancora più del lusso. Vendite globali Rolls Royce, più 49 per cento al record storico di 5.586 auto; per la rivale Bentley, aumento del 31 per cento a quasi 15mila; Lamborghini ha consegnato 8.400 unità (+13 per cento). I numeri della Ferrari non sono ancora noti, ma la crescita nei primi nove mesi dell’anno (+27 per cento a 8.206) rende estremamente probabile il superamento del record di 10.131 unità vendute nell’ultimo anno pre-Covid, il 2019.

Anche in Italia i marchi più costosi hanno di che festeggiare, con aumenti del 10 per cento per Porsche (oltre 6.200 auto vendute), del 14 per cento per Ferrari (a 578) e del 10 per cento per Lamborghini (a 297).

Il problema 

«Nel settore delle auto di lusso in generale il problema non è stato quello di trovare clienti, ma quello di produrre abbastanza auto per soddisfare la domanda», ha detto il numero uno di Rolls-Royce, Thorsten Müller-Ötvös, il quale ha aggiunto: «Se ordinate una Rolls Royce oggi, ve la consegneremo fra un anno».

I venditori di auto di lusso non chiamano i loro clienti miliardari, né paperoni; nella maggior parte dei casi vengono definiti high net worth individuals (HNWI) – letteralmente, persone ad elevata ricchezza netta. Quando si parla di soldi l’understatement è d’obbligo, specie tra chi ha la fortuna di gestirli.

Sono generalmente definite HNWI le persone che hanno un patrimonio da investire superiore a 1 milione di dollari (poco meno di 1 milione di euro). Secondo un rapporto della società di consulenza Cap Gemini relativo al 2020, il numero degli HNWI al mondo è cresciuto a quasi 21 milioni (+6,3 per cento) e il loro patrimonio è aumentato ancora di più (+7,6 per cento) a 75mila miliardi di dollari, pari al 15% circa del totale della ricchezza mondiale (510mila miliardi di dollari, secondo una stima McKinsey).

I numero di ricchi (sarà banale, ma lo trovo più accettabile di HNWI) è cresciuto di più in Nordamerica (+10,7 per cento), Medio Oriente (+6,8 per cento) e Asia-Pacifico (+5,8 per cento); l’Europa segna un “modesto” +2,8 per cento. Un andamento simile per i loro patrimoni, lievitati di quasi il 12 per cento in Nordamerica e di quasi l’11 per cento in Medio Oriente.

Questi numeri non sono frutto di statistiche e tanto meno di dichiarazioni dei redditi; sono quindi da prendere cum grano salis. La tendenza però è chiara. A questo punto però è inevitabile la domanda: cosa ha spinto i super-ricchi ad acquistare sempre più auto proprio in un periodo in cui molti di loro non potevano neppure guidarle?

Il già citato Müller-Ötvös, di Rolls-Royce, spiega che “Il Covid ha costretto molta gente a non viaggiare, e la molta ricchezza accumulata è stata spesa in beni di lusso”. L’agenzia Bloomberg in un report di qualche mese fa ha parlato di “post-war boom” – boom da dopoguerra, una specie di effetto psicologico.

C’è una spiegazione puramente “meccanica” legata alla composizione della domanda, specialmente delle auto più costose. Molte delle Ferrari e delle Rolls-Royce sono acquistate da gente che in garage ne ha già parecchie; gente che compra il nuovo modello (quasi sempre senza vendere il vecchio) come un appassionato degli anni 60 comprava l’ultimo vinile del suo gruppo preferito.

C’è poi il fatto che molti costruttori si sono convertiti di recente alla moda dei SUV, ampliando la gamma rispetto alle coupé e berline di una volta. Anche se potrebbe sembrare strano, il lancio dei SUV ha di fatto raddoppiato i clienti potenziali, dato che i SUV moderni sono di fatto auto “da famiglia” e molto più utilizzabili di una rombante coupé sportiva. Non è un caso che anche la Ferrari stia per lanciare il suo SUV…

Un discorso simile vale per la transizione verso motori elettrici e ibridi, che marchi come Porsche hanno cavalcato più di altri: l’elettrica Taycan è stata addirittura la Porsche più venduta l’anno scorso, battendo la mitica coupé 911.

Quando c’è una classe di persone che hanno tanti soldi da non sapere come spenderli, insomma, basta offrire loro qualcosa di nuovo (e possibilmente esclusivo) per far aprire i portafogli.

A fronte di una domanda pronta a recepire gli stimoli, l’offerta ha potuto adeguarsi senza risentire dei problemi di scarsità di componenti indispensabili come i chip (semiconduttori) ormai presenti a migliaia in ogni vettura. La ragione principale è che tutti i marchi citati sopra, tranne Ferrari, fanno parte di grandi gruppi; sia Porsche che Bentley e Lamborghini, per esempio, sono del gruppo Volkswagen, mentre Rolls Royce fa parte della scuderia BMW. Chi gestisce marchi a livelli molto diversi di prezzo ha preferito tagliare la produzione di vetture più economiche (come la Vw, rimasta ferma per settimane) pur di non perdere clienti che garantiscono profitti di decine di migliaia di euro per vettura.

Continuerà il boom? Sicuramente, a meno di crolli inattesi dei mercati o di una recrudescenza della pandemia… o di una tassazione più equa delle rendite finanziarie. Ma degli eventi possibili, questo è il meno probabile.

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