Manca il lavoro e manca un’idea di paese. Manca una linea di indirizzo strategico del sistema finanziario a sostegno dell’economia reale. In questa convulsa fase di scalate bancarie, dove sono avvincenti le cronache ma poco chiare le intenzioni, quali saranno i ritorni di queste operazioni per l’interesse generale? Come e dove andranno indirizzati i risparmi del sistema finanziario nel suo complesso – che ammontano a oltre 5.100 miliardi – e quali i risvolti di queste operazioni sul lavoro?

Meno dipendenti

C’è il rischio che questo riassetto produca nuove concentrazioni e di conseguenza ulteriori contrazioni del perimetro occupazionale, insieme a una nuova fase di abbandono di pezzi di territorio. La desertificazione bancaria nel corso degli ultimi 5 anni ha ridotto l’occupazione nei 7 maggiori gruppi in Italia – alcuni dei quali protagonisti di questa fase di riassetto – di oltre 21mila unità, pari a una contrazione dell’11 per cento.

Il tutto mentre i gruppi medi e piccoli registravano addirittura una crescita dell’occupazione e il credito cooperativo rimaneva stabile. Sono circa 100mila i lavoratori interessati da queste operazioni, e non vorremmo fare i conti ancora una volta con una nuova fase di gestione di esuberi.

Appare chiaro il tentativo, neanche tanto velato, del governo di mettere le mani su pezzi del sistema bancario e assicurativo, persino attraverso le partecipazioni pubbliche, e di indirizzare alcune operazioni in campo, senza una strategia in linea con la Costituzione e senza che i cittadini abbiano tratto alcun beneficio dalle operazioni finanziarie.

Anche nel settore assicurativo il grande assente è il lavoro. I lavoratori di questo settore, che pure hanno contributo agli straordinari risultati di questi ultimi anni, hanno il contratto scaduto e si ritrovano i due principali player, Generali e Unipol, interessati da vicende complicate e preoccupanti.

Assicurazioni nel gorgo

In Unipol, peraltro fuori da Ania, è in atto una mobilitazione per rivendicare corrette relazioni sindacali e contrastare un atteggiamento da parte del management paternalista e accusatorio.

Mentre Generali è trascinata in un riassetto che porta a una nuova tipologia di giocatori dalla visione nazionalista e miope rispetto ai processi europei e globali. Il settore è in subbuglio, vittima di intrusioni improprie, mentre avrebbe bisogno di stabilità e di dare risposte a cittadini e lavoratori.

Il tema è fare del lavoro un elemento dirimente delle operazioni in campo: serve chiarire alle organizzazioni sindacali, ai lavoratori, al paese, gli effetti delle aggregazioni sul perimetro occupazionale, nonché i benefici per l’economia reale, specie in questa fase di turbolenze geopolitiche. I grandi banchieri – da poco abbiamo registrato gli ingenti guadagni – devono esplicitare quali sono i piani strategici, non solo ristretti ai ritorni finanziari, ma al benessere collettivo.

Devono cioè giocare un ruolo attivo nel dibattito, essendo detentori attraverso i loro gruppi non solo di una buona fetta del nostro debito, ma anche di quelle risorse del risparmio necessarie per l’economia, in una prospettiva europea.

Noi come Cgil stiamo giocando una partita che guarda al futuro del paese, a tutela della democrazia, portando il tema del lavoro al centro della discussione pubblica attraverso i referendum. Come Fisac Cgil ci aspettiamo che i gruppi bancari e assicurativi esplicitino, in questa fase convulsa, la loro idea per il paese che lavora.

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