Cambio di presidenza in Open Fiber. Cassa depositi e prestiti, azionista di maggioranza della società con una quota del 60% (il restante 40% è in capo al fondo australiano Macquarie) ha designato Enrico Tommaso Cucchiani, che prenderà il posto di Paolo Ciocca, a sua volta nominato alla presidenza di Italgas. E novità anche in casa Cdp Venture Capital: Emanuele Levi assumerà l’incarico di amministratore delegato ereditando il timone da Agostino Scornajenchi, che va al vertice della partecipata Snam.

Il giro di nomine arriva in un momento cruciale per Open Fiber: nella serie di incontri convocati dal Dipartimento per la Trasformazione digitale (di cui uno proprio oggi, mercoledì 28 maggio) per ora non si è trovata la quadra sulla proposta del “competitor” FiberCop, la società nata dallo scorporo della rete Tim e che vede come principali azionisti il fondo americano Kkr e il ministero dell’Economia.

La società guidata da Massimo Sarmi si è fatta avanti per rilevare 5 degli 8 lotti in capo a Open Fiber nell’ambito del Piano Italia a 1 Giga che punta a garantire a tutti i cittadini una velocità di connessione di almeno 1 Giga al secondo sull’intero territorio nazionale nelle cosiddette aree grigie, quelle cioè in cui la copertura in fibra ottica è attualmente parziale o limitata. Il Piano è finanziato con fondi Pnrr e FiberCop (che si è aggiudicata 7 lotti) punta a rilevare le attività che riguardano Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia.

Il tempo sta scadendo

I ritardi in queste regioni sono importanti e il sottosegretario Alessio Butti è intenzionato a chiudere il cerchio prima che sia troppo tardi ossia che non si riescano a portare a termine tutti i cantieri entro la scadenza di giugno 2026. Ma è una corsa contro il tempo: i lotti, secondo quanto indicato da FiberCop e secondo lo stesso Dipartimento, andranno trasferiti entro il 30 giugno altrimenti la stessa FiberCop potrebbe non riuscire a eseguire tutte le opere. Open Fiber si è detta disponibile ma a patto che le opzioni in discussione siano «compatibili con il rispetto dei tempi di realizzazione del progetto e del piano industriale approvato».

Chiudere la partita entro il 30 giugno però è altamente improbabile considerati i tempi tecnici e burocratici per la cessione di ramo d’azienda (questa l’ipotesi numero uno) da parte di Open Fiber. In alternativa si potrebbe valutare come operare lotto per lotto, individuando criteri di “scorporo” dei comuni. Insomma è ancora tutto da capire e secondo Open Fiber potrebbero volerci dai tre ai sei mesi per portare a terra l’operazione così come concepita finora.

Il dossier rete unica

Nei giorni scorsi il ministro degli Affari europei, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Tommaso Foti, ha auspicato una soluzione in tempi brevi non escludendo soluzioni drastiche: «Penso che dobbiamo fare tutti il tifo affinché le due società destinatarie dell'incarico comprendano che vi è un obiettivo qualificante e necessario per il Paese, e anziché spostarsi su un piano di conflittualità trovino una soluzione per arrivare all’obiettivo del 30 giugno 2026. Ma essendoci anche il potere di revoca, in caso di inadempienza il governo potrà valutare anche quello».

Ma i due azionisti di Open Fiber – Cdp e Macquarie – non sarebbero del tutto allineati sulle opzioni: quanti lotti e soprattutto quali garanzie sul futuro dell’azienda? E il tema vero sul tavolo resta quello della rete unica, ossia del progetto di integrazione fra Open Fiber e FiberCop a cui da tempo lavora il governo e sui cui avevano scommesso a suo tempo gli australiani di Macquarie ma che al momento è passato in secondo piano vista l’urgenza del “dossier aree grigie”.

Stando a quanto si apprende Macquarie, che nel 2021 ha acquisito il 40% di Open Fiber per oltre 2 miliardi, nell’ambito del progetto di rete unica, ossia di fusione Open Fiber-FiberCop, vorrebbe tenere fuori dal perimetro la porzione della rete in fibra nelle cosiddette aree nere, quelle più redditizie e localizzate prevalentemente nelle città, anche per evitare eventuali problemi antitrust a livello nazionale ed europeo. E nell’operazione Macquarie vorrebbe rilevare le aree nere. Ma Cdp vorrebbe tenerle dentro considerato che avrebbero un valore che gli analisti stimano fra i 4 e i 6 miliardi (debito incluso).

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