Non dobbiamo dar troppo supporto all’Ucraina per non allungare la guerra: è il nocciolo di molti ragionamenti che sentiamo di questi tempi. Viene esposto in varie forme e con varie aggiunte e qualificazioni. Dal pacifismo radicale alla colpevolizzazione del paese invaso.

In alcune articolazioni pare comprensibile anche a chi è di parere molto diverso. In altre suscita invece forti repulsioni. Ciò succede, in particolare, quando il ragionamento contiene anche accenti anti occidentali, in varia forma.

Il pacifismo condito di critiche e scetticismo sul modello occidentale è tanto diffuso quanto sorprendente perché l’indegnità delle mosse russe sembra provare la superiorità dei nostri valori. Può essere utile cercare le ragioni della sua diffusione.

Gravi imperfezioni

Una delle ragioni principali è forse la difficoltà di accettare le gravi imperfezioni con cui il modello occidentale viene da noi messo in pratica. È un modello imperniato sulla libertà, prima di tutto, sulla democrazia, sulla divisione dei poteri, sullo stato di diritto e sul rispetto delle regole nella convivenza internazionale.

Ebbene: quante volte questi valori vengono gravemente violati in “occidente”, con quanto cinismo vengono spesso commentate dagli “occidentali”, di quanta ipocrisia siamo protagonisti, di quanta corruzione e regressione nella violenza e nel disprezzo delle regole!

D’altra parte, è nella natura del modello di essere un punto di riferimento che le volontà individuali devono interpretare e quindi di essere fallibile, tradibile, soggetto alla rischiosa interazione delle libertà.

Si tratta di un “valore” proprio perché non è il risultato obbligato, automatico, meccanico, della conformazione del modello, ma l’obiettivo di libere volontà, solo in parte costrette entro i meccanismi regolatori inseriti dalle istituzioni e dalle leggi nel funzionamento delle società nazionali e della convivenza internazionale. Abbiamo dunque il merito di un buon modello e il demerito di non applicarlo bene.

Due reazioni

Ci sono due modi opposti di reagire a questa incoerenza. Si può sviluppare cinismo e sfiducia nel modello, fino a considerarlo solo una maschera che copre orrori con voluta ipocrisia, oppure prender spunto dalle carenze dell’applicazione per migliorarla.

Scegliendo il secondo modo, nel caso della tragedia ucraina si tratta di andare oltre ogni equidistanza fra Kiev e Mosca, solo apparentemente realistica. Si tratta di credere nel modello occidentale anche se non se ne constata l’applicazione in purezza e di prender spunto per adoprarsi affinché l’applicazione migliori, in Ucraina come altrove.

Si tratta di impegnarsi di più perché la promozione della libertà individuale, lo stato di diritto, la rappresentatività democratica, l’indipendenza della magistratura, la concorrenza, il merito, l’uguaglianza dei punti di partenza, e altro ancora, diventino maggiormente realtà dove sono quasi solo sulla carta. Si tratta di non scoraggiarsi mai se non si ottengono in pieno e di non stancarsi mai di perseguirle. Si tratta di essere realisti nel non nasconderci il punto in cui siamo ma idealisti nel fissarsi un obiettivo perfetto.

Mescolando bene realismo e idealismo possiamo anche superare due trappole nelle quali cadono spesso i sostenitori del modello occidentale e che finiscono per indebolirne il messaggio.

La prima consiste nel credere che sia un modello con applicazione univoca: il globalismo culturale che tutto appiattisce in un’indistinta meta occidentale, come se non ci fossero l’oriente, il nord e il meridione. La bellezza del modello è anche la flessibilità del suo disegno, che può lasciarne intatto l’essenziale. È stato anche questo imperialismo culturale che ha nuociuto alla reputazione del modello, soprattutto negli anni attorno all’inizio del secolo.

Dobbiamo saper combattere una guerra, anche costosa, per difendere la libertà, pur ammettendo che per tanti versi non siamo degni della bandiera che sventoliamo con convinzione e che vincere la guerra non significa imporre una bandiera che non ammette sfumature.

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