Rieletto Sergio Mattarella, e prima che la Russia invadesse l’Ucraina, l’orizzonte della politica erano le prossime elezioni. Si parlava di coalizioni, soprattutto, e di come assicurare continuità all’attuazione del Pnrr. Nel loro stesso interesse, e nell’interesse della nazione, i partiti dovrebbero invece battersi principalmente sui contenuti del Piano.

Questa idea può apparire stravagante. Se lo scopo è garantire l’attuazione del Pnrr, si dirà, è assurdo gettarlo nella contesa tra i partiti: il Piano deve invece essere protetto dalla lotta politica. È vero il contrario.

Nello scorso trentennio nessuna grande economia occidentale ha fatto tante riforme quante l’Italia. Eppure il paese ristagnava, mentre i suoi pari crescevano. Quelle riforme fallirono, nel complesso, anche perché non rispondevano a una visione definita, nata nel conflitto politico, e sostenuta da una maggioranza affidabile: ciò le rese poco credibili agli occhi dei milioni di imprese e cittadini i cui comportamenti esse volevano cambiare.

Scelte politiche

Il Pnrr non ha precedenti recenti per ricchezza e ambizione, ma ha i medesimi difetti. Era inevitabile, per l’urgenza della pandemia e la debolezza dei partiti. Ma siccome gli effetti del Piano dipendono in larga misura dalle sue grandi riforme – giustizia, pubblica amministrazione e concorrenza, soprattutto – ai quei difetti è necessario rimediare.

In una democrazia meglio funzionante, e in tempi più normali, un Piano di tale importanza sarebbe stato scritto dopo un’elezione politica, non prima: i partiti avrebbero avanzato una propria visione dell’indirizzo riformatore, i cittadini avrebbero scelto tra queste opzioni, e il Piano avrebbe riflesso la sintesi delle loro scelte. In parte, questo modello si può recuperare: perché l’attuazione del Piano implica scelte eminentemente politiche.

La politica della concorrenza offre un esempio. Il Pnrr intende rafforzarla in settori cruciali – le infrastrutture strategiche, le grandi concessioni, il mercato elettrico, i servizi pubblici locali – ma non precisa come e quanto. Si può direttamente imporre il trasferimento al mercato di un dato servizio pubblico locale, per esempio, ovvero semplicemente incentivarlo, e gli incentivi possono essere più o meno forti. L’effetto del Piano dipende da innumerevoli scelte consimili: discuterle di fronte agli elettori serve a indirizzarle e renderle credibili.

Su queste scelte, del resto, i partiti si batteranno comunque. La vera questione è se lo faranno nel segreto dei loro negoziati, sui quali peserà l’influenza degli interessi particolari, o di fronte all’elettorato, con argomenti pubblicamente difendibili. L’esempio delle concessioni balneari, banale ma chiarissimo, dimostra bene la differenza: è solo quando il problema è emerso alla superficie che i cittadini hanno assistito a un dibattito minimamente razionale. Quindi il tentativo di proteggere il Pnrr dalla lotta politica avrebbe risultati opposti a quelli desiderati, perché la lotta ci sarebbe comunque ma sarebbe meno trasparente.

Tecnici e politici

Porre il Pnrr al centro della campagna elettorale è dunque possibile e desiderabile. Farlo sarebbe nell’interesse dei partiti per almeno tre ragioni. Una, ovvia, è affermare la primazia della politica sulla tecnocrazia. Un’altra è che il Piano è diffusamente apprezzato e potrebbe migliorare sensibilmente il paese: poveri di idee quali ora sono, ogni partito avrebbe interesse a impugnare quella bandiera come propria. E infine il Piano sarà comunque attuato: per i partiti che abbiano genuine convinzioni al riguardo, il luogo migliore per farle valere sono le elezioni.

Resta un’obiezione. Se questi partiti sono poveri di idee e competenze, spesso privi di democrazia interna, e tutti vulnerabili all’influenza degli interessi particolari, perché affidare loro il Pnrr? Risponderei che affidarlo invece a un «tecnico» è discutibile in linea di principio, fuori dall’emergenza, e altrettanto imprudente, perché quella persona potrebbe incapricciarsi di una ballerina giamaicana e sparire.

Negli anni a venire, inoltre, saranno questi partiti a guidare la nazione: spingerli a misurarsi con l’attuazione del piano può aiutarli a crescere, perché dovranno discutere, costruire idee, formarsi competenze.

Le due soluzioni non sono alternative, in ogni caso: se si vorrà lasciare l’esecutivo a una persona come Mario Draghi, l’esistenza di una vera maggioranza politica a sostegno del Piano gioverebbe all’efficacia oltre che alla legittimità (sostanziale) dell’azione di governo.

Andrea Lorenzo Capussela è autore di Declino Italia, Einaudi 2021, e di The Political Economy of Italy’s Decline, Oxford University Press 2018 (ed. it. Declino. Una storia italiana, Luiss University Press 2019).

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