Perché si parla sempre di più di patrimoniale? In primo luogo, la ricchezza è sempre più centrale nelle economie avanzate. In secondo luogo, questa ricchezza è distribuita molto iniquamente nella popolazione e, in terzo luogo, la tassazione dei super ricchi continua a essere una fondamentale sfida dei nostri sistemi tributari
Negli anni Novanta, dodici Paesi europei applicavano un’imposta sulla ricchezza netta; oggi restano solo Svizzera, Norvegia e Spagna. La Svizzera, però, raccoglie il triplo delle entrate rispetto agli altri due paesi, con 1,4 per cento circa del Prodotto interno lordo svizzero derivante da questa imposta, pari a 7,5 miliardi di dollari nel 2018.
L’imposta sul patrimonio ha radici profonde in Svizzera, risalendo al XVIII secolo, e oggi spetta esclusivamente ai 26 cantoni riscuoterla. Nel 2018, le aliquote massime a livello congiunto cantonale e comunale variavano tra lo 0,1 per cento (Cantone di Nidvaldo) e l’1,1 per cento (Cantone di Ginevra).
Il tema della patrimoniale sta tornando al centro del dibattito pubblico, sia in Italia che all’estero. Durante il G20 di novembre 2024, la presidenza brasiliana ha proposto un’imposta minima del 2-3 per cento sui patrimoni superiori ai 100 milioni di dollari. In Italia, un’imposta del 2 per cento sui miliardari genererebbe 5,4 miliardi, salendo a 8,3 se estesa ai centomilionari.
Con un’imposta del 3 per cento, il gettito supererebbe i 15 miliardi. Uno studio dell’Università Bicocca di Milano e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha stimato che un’imposta dell’1,35 per cento sull’1 per cento più ricco degli italiani produrrebbe 30 miliardi, cifra simile alla legge di Bilancio 2024. La tassazione dei grandi patrimoni è anche sostenuta dal 67 per cento dei cittadini, sostiene Eurobarometro.
Il dibattito
Ma perché si parla sempre di più di patrimoniale? In primo luogo, la ricchezza è sempre più centrale nelle economie avanzate, complice l’aumento dell’età media, l’incertezza economica e il ridimensionamento dello stato sociale. Secondo il World Inequality Database, il patrimonio netto delle famiglie è passato da 2,3 a 7,5 volte il reddito nazionale annuo dal 1970 al 2021, indicando quanti anni di reddito servirebbero per eguagliare il valore totale della ricchezza familiare. Oggi il patrimonio netto delle famiglie italiane sfiora i 10.500 miliardi di euro, pari a circa 175mila a testa, considerando ogni cittadino e al netto dei debiti.
In secondo luogo, questa ricchezza è distribuita molto iniquamente nella popolazione. Non tutti possiedono certamente 175mila euro.
Disuguaglianze crescenti
Oggi si stima che almeno 10 milioni di italiani non possano affrontare una spesa imprevista di 2mila euro, sufficiente a evitare la soglia di povertà per tre mesi, secondo stime effettuate sui dati campionari di Bankitalia.
Dal 1995 al 2016, l’1 per cento più ricco degli adulti italiani è passato dal 17 al 22 per cento di ricchezza totale posseduta. Lo 0,1 per cento più ricco (circa 50mila adulti) ha raddoppiato patrimonio e quota (da 7,6 a 15,8 milioni, e da 5,5 a 9,3 per cento). Intanto, la quota di ricchezza della metà più povera (circa 25 milioni di adulti) è scesa dall’11,7 al 3,5 per cento, con un crollo dell’80 per cento della ricchezza media.
In terzo luogo, la tassazione dei super ricchi continua a essere una fondamentale sfida dei nostri sistemi tributari. In barba alla nostra Costituzione, che richiede progressività tributaria, oggi si stima che i milionari e i miliardari paghino meno imposte dei lavoratori medi in termini relativi.
Come sottolineato da Piketty e coautori (2023), gli ultraricchi beneficiano di una fiscalità privilegiata anche grazie alla possibilità di spostare strategicamente le proprie entrate tra redditi da lavoro e redditi da capitale, in modo da ridurre l’imposizione fiscale. Inoltre, come emerso dai leak di ProPublica, alcuni miliardari – tra cui anche Elon Musk negli Stati Uniti – riescono a vivere interamente grazie al loro patrimonio, evitando di pagare imposte sul reddito o mantenendole a livelli estremamente bassi.
A tutto ciò si aggiunge anche un altro fattore cruciale: la necessità di reperire risorse per affrontare le sfide del futuro.
Come finanziare il futuro
Investimenti nella transizione ecologica e nella sanità richiedono fondi aggiuntivi, specialmente nel contesto odierno, in cui l’attenzione politica ed economica è sempre più drammaticamente focalizzata sul settore della difesa.
Evitare che risorse già esistenti vengano dirottate sul riarmo è una priorità, e una patrimoniale potrebbe offrire una soluzione concreta per finanziare questi settori senza sacrificare altri obiettivi cruciali per il nostro futuro. Questo è il messaggio uscito da un report succinto dello Eu Tax Observatory, in cui si nota come, a fronte dei 250 miliardi annui necessari per il progetto di riarmo Ue (Bruegel), un’imposta minima del 2 per cento sui patrimoni oltre i 100 milioni di euro genererebbe un gettito di 67 miliardi per tutti i paesi della Ue.
È importante sottolineare come il dibattito internazionale concepisce oggi la patrimoniale in modo diverso rispetto al passato. Il principio alla base di una Minimum Tax del 2 per cento è diverso da un’imposta patrimoniale classica. Oltre una certa soglia di patrimonio prestabilita – ad esempio 2 milioni, 100 milioni o 1 miliardo di euro – si deve versare in imposte almeno il 2 per cento del valore patrimoniale in eccedenza.
Tuttavia, se l’imposta sul reddito già pagata è pari o superiore a questa quota, non sarebbe richiesto alcun pagamento aggiuntivo pur avendo patrimoni multimilionari o miliardari. La misura, in altre parole, colpirebbe solo chi non paga già imposte significative.
Le critiche
Quando si parla di patrimoniale, emergono dubbi sulla sua fattibilità. Si parte dal rischio di fuga di capitali, di espatrio dei cittadini e presunta mancanza di liquidità per pagare l’imposta.
Seppure in Norvegia l’aumento dell’imposta patrimoniale varata dal governo nel 2022 ha portato 80 imprenditori a lasciare il paese, l’evidenza empirica su Svezia e Danimarca segnala effetti limitati. Pur senza sottovalutare i rischi, una riforma fiscale ben strutturata può neutralizzare il problema. Innanzitutto si dovrebbe considerare non solo la ricchezza detenuta nel paese, ma anche quella posseduta all’estero, come si fa in Spagna, dove le imposte sul patrimonio non hanno causato né esodi di cittadini né di capitali.
Un sistema simile è adottato anche dagli Stati Uniti, che tassano i redditi dei cittadini anche quando lavorano all’estero. Un meccanismo del genere renderebbe inefficace il semplice spostamento degli investimenti oltre confine. Inoltre, si potrebbe prevedere che, anche in caso di espatrio, l’imposta patrimoniale continui ad applicarsi per alcuni anni, scoraggiando l’abbandono del paese per motivi fiscali.
La presunta mancanza di liquidità per pagare l’imposta è un’altra critica frequente riguardo il rischio che alcuni individui, pur avendo grandi patrimoni, non dispongano della liquidità necessaria per versare l’imposta. Anche questo problema può trovare una soluzione con strumenti adeguati.
È importante sottolineare che, ai livelli più alti della distribuzione della ricchezza, la maggior parte del patrimonio non è costituita da beni immobili, che sono meno facilmente liquidabili, ma da attività finanziarie e partecipazioni societarie, che invece possono essere vendute, anche solo in parte, con maggiore facilità. In alternativa, come suggerito da economisti come Piketty, Saez e Zucman, si potrebbe consentire il pagamento dell’imposta direttamente tramite la cessione di quote azionarie. In questo modo, un’imposta sulla ricchezza dell’1 per cento implicherebbe un versamento dell’1 per cento delle azioni.
Pur con tante limitazioni tecniche e pratiche, il tema della patrimoniale ha il pregio di toccare una questione fondamentale: chi deve contribuire e in che misura al finanziamento della spesa pubblica per la collettività. Mentre negli ultimi decenni, la ricchezza si è concentrata sempre più nelle mani di pochi, il peso fiscale è rimasto sulle spalle della classe media, dei lavoratori e dei pensionati. Ripensare la tassazione patrimoniale non significa solo trovare nuove risorse, ma ridefinire i principi di equità e giustizia fiscale su cui si basa la nostra società.
Il punto, infatti, non è punire chi ha accumulato grandi patrimoni, ma riconoscere che nessuna ricchezza si genera in un vuoto: ogni impresa prospera grazie a infrastrutture, servizi pubblici essenziali, istituzioni e lavoratrici e lavoratori formati da un sistema che deve essere mantenuto e rafforzato. Se il carico tributario non è proporzionato alla capacità di contribuzione di ciascuno, il rischio è quello di alimentare disuguaglianze sempre più profonde e generare una società sempre meno coesa.
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