I dati recentemente pubblicati nel rendiconto sociale del consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps ci dicono che tra i problemi del sistema previdenziale italiano non c’è quello della troppo precoce età di pensionamento, come si dice spesso.

Le donne lavoratrici dipendenti varcano la soglia del pensionamento (anticipato o per vecchiaia) a circa 64 anni mentre gli uomini le precedono di circa sei mesi. In relazione all’età di pensionamento attende, invece, soluzione il problema della diversa difficoltà a prolungare la propria attività lavorativa determinata da condizioni eterogenee nello stato di salute, nel tipo di lavoro svolto, nelle difficoltà occupazionali e nei carichi familiari.

Di questa eterogeneità il legislatore dovrebbe preoccuparsi al più presto, ponendosi due obiettivi: offrire effettive opportunità di scelta sul momento in cui andare in pensione, con impatto limitato sui conti pubblici; tutelare i più svantaggiati, come richiedono considerazioni non solo di equità ma anche di efficienza produttiva.

Rispetto al secondo obiettivo è positivo che si stia andando verso l’ampliamento delle categorie di occupati ammessi, in considerazione della gravosità delle mansioni svolte, all’Ape sociale. Rispetto al primo obiettivo, negli ultimi anni sono state introdotte numerose misure (talvolta temporanee) di pensionamento anticipato: le varie salvaguardie per gli esodati, gli anticipi per i “precoci”, Quota 100 (ora 102), Opzione donna, Ape volontaria e sociale.

I loro effetti sono stati, nell’insieme, del tutto insufficienti e hanno tutelato un numero limitato di soggetti, non sempre, come nel caso di Quota 100, i più bisognosi.

Più flessibilità

La buona notizia è che governo e parti sociali stanno finalmente discutendo per dare risposta definitiva alla richiesta, avanzata dai lavoratori e dalle imprese, di maggiore flessibilità nell’età di pensionamento.

Solleva, però, perplessità la linea che il governo sembra aver scelto: consentire l’anticipo a patto di accettare un ricalcolo integrale della prestazione in base alla formula contributiva.

Il ricalcolo comporta una decurtazione significativa dell’assegno pensionistico soprattutto per chi ha lavorato un buon numero di anni prima del 1996, dunque, ha una consistente componente retributiva nella pensione, o ha avuto significativi incrementi stipendiali nella fase finale della carriera. Il timore è, quindi, che il pensionamento anticipato appaia ben poco attraente.

A rinforzare questo timore concorre il numero esiguo di domande per Opzione donna, che si basa sullo stesso principio (anche se a età diverse): circa 15mila nel 2021, in gran parte lavoratrici a reddito molto basso.

Probabilmente il governo intende restare all’interno dello schema contributivo, da un lato, ed evitare aggravi per il bilancio pubblico, dall’altro. Aggravi ci sono invece stati con Quota 100 che consentiva il pensionamento anticipato senza decurtazione dell’importo e, quindi, determinava un incremento della ricchezza pensionistica complessivamente versata al lavoratore dal momento del suo ritiro in poi.

La formula contributiva, per la sua natura attuariale, modifica invece l’importo della prestazione tenendo conto della vita media attesa al pensionamento, dunque riducendola in caso di anticipazione di quest’ultimo.

Sul bilancio pubblico, con quella formula, si avrebbe soltanto una maggior spesa “di cassa” a causa dell’anticipo, tralasciando eventuali variazioni delle entrate contributive. A ben guardare, il “ricalcolo contributivo” migliorerebbe addirittura il bilancio pubblico nel lungo periodo dato che, in media, la ricchezza pensionistica complessiva erogata agli “anticipandi” sarebbe inferiore a quella che riceverebbero con una pensione in buona parte retributiva se si ritirassero all’età legale.

La via possibile

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C’è, però, un’alternativa che consentirebbe, a chi lo volesse, di usufruire del pensionamento anticipato – e, va ricordato, molti lavoratori hanno subìto, nel corso della loro carriera un incremento di circa dieci anni dell’età pensionabile – a condizioni più vantaggiose e senza che ci siano costi per il bilancio pubblico.

L’uovo di Colombo consiste nel permettere, a partire da una certa età e con una pensione pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale, per evitare il cumulo di pensione e assegno sociale, di ritirarsi al prezzo di una riduzione permanente dell’importo relativo alla sola quota retributiva della pensione.

Questa riduzione dipenderebbe dalla differenza tra l’età legale, attualmente 67 anni, e quella effettiva al momento del pensionamento anticipato.

Per non generare impatti sul bilancio pubblico la riduzione dovrebbe essere di importo pari alla differenza fra i coefficienti di trasformazione che si applicano alle diverse età di ritiro che sono dell’ordine del 3 per cento per ogni anno di anticipo, in modo da compensare il vantaggio della sua percezione per un numero maggiore di anni.

Ad esempio, un lavoratore con una carriera che per un terzo ricade nel sistema retributivo se si ritirasse con tre anni di anticipo subirebbe una riduzione della prestazione pari a circa il tre per cento. Dunque, una simile misura, se ben disegnata, amplierebbe le possibilità di scelta dei lavoratori senza aggravi persistenti per il bilancio pubblico.

Un problema potrebbe sorgere nel breve termine: l’impatto sul bilancio “di cassa” del più elevato flusso di uscite. Quando si parla di questo problema si tende a rappresentarlo di dimensioni forse esagerate. Ci sembra, infatti, assai plausibile che sarà piuttosto limitata, rispetto ai potenziali aventi diritto, la platea di coloro che ricorreranno al pensionamento anticipato.

Una conferma in questo senso viene da esperienze recenti: Quota 100 – pur non prevedendo penalizzazione monetaria – ha generato esborsi pari a meno della metà di quelli previsti; l’Ape volontaria, che prevedeva una penalizzazione monetaria, è stata utilizzata da poco più di 7mila individui. In breve, si può ipotizzare che solo in presenza di condizioni di lavoro o personali molto sfavorevoli si sceglierà – in coerenza con lo spirito del provvedimento – di anticipare la pensione.

Più scelta a costo ridotto

Un così importante ampliamento delle opportunità di scelta offerte a chi sta per concludere la propria carriera lavorativa a un così basso costo per il bilancio pubblico sembra, dal punto di vista del benessere sociale, un ottimo affare. E ancor più sarebbe così se, grazie all’estensione dell’Ape sociale, venissero particolarmente tutelate, in modo trasparente e motivato, le categorie di lavoratori in maggiore difficoltà.

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