Ci sono i lecci a fare da cornice, parchi naturali con fiumi di acqua dolce e paludi protette, rifugi per gli uccelli lungo i loro corridoi migratori. E poi spiagge bianche dal fondale sabbioso, buone per le immersioni e capaci di nascondere reperti archeologici; e c’è anche il vento che attira sportivi e surfisti in cerca dell’onda.  A pochi chilometri dal centro di Lecce, si stende un litorale di venticinque chilometri, quattro a rischio erosione, punteggiati – tra aree storiche e naturalistiche – da ventitré stabilimenti balneari.

Nella primavera 2019, quando l’attuale sindaco Carlo Salvemini si è candidato sostenuto da liste civiche di centrosinistra e dal Partito democratico, ha promesso di ripensare la gestione del litorale tendendo conto di tutte le caratteristiche del territorio e mettendo a gara le concessioni balneari.

Non sapeva che di lì a poco si sarebbe trovato intrappolato, assieme ai dirigenti del comune, in un conflitto di diritti contrastanti: quello europeo, confermato dai pronunciamenti e dai ricorsi delle authority regolatorie, che gli chiedeva di fare esattamente quello che aveva proposto, e quello dello stato, promosso dal sostegno attivo o silente della maggioranza delle forze politiche, che gli impediva di mantenere la promessa elettorale.

Dibattito pubblico

Sul sito del comune di Lecce ci sono ancora tutti i documenti del dibattito pubblico che nell’autunno di quell’anno ha portato all’adozione del piano coste. Un appuntamento organizzato sul modello del débat public (dibattito pubblico) francese per cercare di fare tre cose: far conoscere ai cittadini la complessità ambientale dell’ecosistema leccese, rischi di erosione delle spiagge compresi; cercare di diversificare gli usi della costa e il tipo di turismo, anche con un occhio allo sviluppo economico, e mettere insieme in una proposta unitaria interessi confliggenti: non solo le famiglie che gestiscono i 23 stabilimenti balneari attuali, ma anche i giovani imprenditori degli sport acquatici che vorrebbero spiagge pubbliche attrezzate e puntano ad attrarre i visitatori anche nei mesi invernali. O ancora i potenziali gestori dei nuovi chioschi destinati al ristoro nelle aree di interesse culturale fino ai lavoratori degli enti di tutela delle aree protette dal Wwf.

A proposito di quel progetto, presentato già durante la campagna elettorale, Salvemini dice: «Ho vinto al primo turno, mi sono sentito legittimato da una dichiarazione chiara, evidentemente favorevole, della cittadinanza». Anche perché, argomenta, «il piatto della bilancia fra interessi contrapposti pende dalla parte dei balneari che legittimamente fanno lobbying. Ma sull’altro piatto c’è una pluralità di interessi collettivi che non sono organizzati e quindi non fanno da contrappeso». Quelli che il sindaco chiama «outsider» sono coloro che secondo lui hanno tutto l’interesse e la titolarità a volere gare a evidenza pubblica, ma di solito assistono allo status quo con rassegnazione, se non inconsapevolezza.


Il compromesso

Bella idea coinvolgerli, bello il piano adottato. Peccato che a molti chilometri di distanza, a Roma, il parlamento avesse approvato con la legge 145 del 2018, governo gialloverde, la proroga di tutte le concessioni al 2033. E che nonostante la norma fosse in contrasto con le sentenze Agcm, con l’orientamento del consiglio di stato e con tutto l’impianto del diritto europeo, il governo di centrosinistra successivo abbia lasciato correre fino alla messa in mora della commissione europea, arrivata lo scorso dicembre.

Intanto a Lecce Maurizio Guido, il dirigente del demanio, non sapeva come muoversi. Salvemini non è certo un barricadiero: nella precedente amministrazione ha fatto un accordo con tre consiglieri di centrodestra per portare a casa la manovra finanziaria e sostiene che anche quella tentata ora sui balneari sia una soluzione di compromesso. E cioè una proroga tecnica di tre anni per chi avesse deciso di non avvalersi della 145 – un tempo utile secondo il comune perché un imprenditore possa organizzarsi e possa ottenere garanzie bancarie – e di un solo anno per chi avesse rifiutato le gare. In cinque hanno accettato l’accordo, poco meno di una ventina lo hanno rifiutato, gli uni e gli altri hanno fatto ricorso.

Una pioggia di sentenze

Il risultato lo ha ricordato a febbraio Mauro Della Valle, presidente della Federazione imprese demaniali, a Mondo Balneare, il portale di informazione della lobby: «Siamo arrivati a undici sentenze del Tar che ribadiscono l’applicabilità del differimento al 2033». La faccenda si può sintetizzare nella formula: non può essere un funzionario comunale a decidere se una legge dello stato è legittima o no. E non importa che lo abbiano detto altre fonti di diritto.

«Mi sono assunto la responsabilità di sostenere che questo fosse un tema politico, ho rivendicato il fatto che se rappresento uno schieramento politico diverso dalla Lega, posso esprimere un punto di vista diverso dalla Lega», dice Salvemini. «Parlare di spiagge significa parlare di come ci rapportiamo ai beni pubblici, come tuteliamo le risorse scarse, l’accessibilità del libero mercato, ma lo schieramento a cui mi sento di appartenere parla diffusamente una lingua non diversa da quella di Centinaio e Salvini». E parole di cui spesso ci si riempie la bocca come sud o impresa, finiscono per essere svilite. Eppure la verità è che in questa storia non c’è nulla di eroico, di ribelle, di epico. C’è solo un’ordinaria impossibilità di agire.

Le sponde mancanti

Salvemini non trova sponda nei partiti e nemmeno nei suoi colleghi dell’Anci: il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, che per l’associazione dei comuni ha la delega al turismo e quindi quella al demanio marittimo, ha siglato la pax con i balneari.

A Roma il democratico ministro della Cultura Dario Franceschini ha ceduto la delega al turismo al collega leghista Massimo Garavaglia con tempismo perfetto: cioè nel momento in cui, dopo mesi di ignavia, la Commissione europea è tornata a chiedere conto di undici anni di violazione della direttiva Bolkestein. Un ottimo modo per lasciare il ruolo di pubblici difensori delle proroghe a Sviluppo economico e Turismo. Nell’ufficio di palazzo Chigi che si occupa di procedure di infrazione, e dove la storia di Lecce è ben nota, guardano la lancetta dell’orologio con preoccupazione per le possibili multe milionarie in arrivo.

Il comune pugliese aveva chiesto di sospendere almeno l’esecuzione delle sentenze, ma ha perso di nuovo. I consiglieri di minoranza ora rimproverano al sindaco di aver speso 48mila euro per il ricorso e addirittura minacciano di rivolgersi alla Corte dei conti, cioè l’organo che verrebbe subito a suonare alla porta nel caso in cui, come succede di fatto con le spiagge, un bene pubblico fosse affidato per generazioni a un privato.

Salvemini ha deciso di scrivere una lettera al presidente del Consiglio di stato chiedendo che a sezioni unite si pronunci una volta per tutte sulla materia, l’ultima spiaggia, ecco, per poter rispettare una semplice promessa elettorale.

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