“Mettete degli smartphone nei vostri cannoni”. A prima vista, così i pacifisti potrebbero aggiornare il loro famoso slogan alla luce dello studio Economic Integration and the Transmission of Democracy di Marco Tabellini, dell’università di Harvard, e Giacomo Magistretti, del Fondo monetario internazionale, in merito all’influenza del commercio sulla democrazia.

Smartphone al posto dei fiori, perché questi ultimi sono beni grezzi e non ad alto valore aggiunto come quelli che, secondo i due ricercatori, funzionano di più in base ai risultati della loro teoria. E facendo un passo in più si potrebbe dire che dal 2001 gli Stati Uniti avrebbero avuto maggiori chance di esportare la democrazia in Afghanistan se avessero sganciato cellulari dagli aerei anziché bombe. Oppure, andando ancora oltre, ci si potrebbe domandare se le sanzioni al commercio internazionale imposte nell’ultimo anno contro la Russia possano avere un effetto controproducente, riducendo il supporto per la democrazia tra i cittadini del paese. A meno che il consumismo non sia visto come una punizione.

La ricerca

In realtà la ricerca è molto seria, si basa su una marea di dati, i famosi big data, che possono essere usati solo con supercomputer da elevate prestazioni. E per avere i risultati ci vogliono giorni. Oltre a ciò, alla base del paper ci sono due indici.

Il primo proviene dalla scienza politica e determina il grado di democrazia in un paese, che aumenta quando i valori si avvicinano a +10, in una scala dove -10 rappresenta l’autocrazia. Tra gli elementi che lo compongono ci sono le libere elezioni e il riconoscimento della proprietà privata. Si chiama Polity score ed è sviluppato dal Polity project, frutto del Center for Systemic Peace. Il secondo è un portato dell’econometria, è costruito con i dati del Fondo monetario internazionale e delle Nazioni unite, disponibili in modo sistematico a partire dal 1960, e serve a stabilire la crescita del commercio in uno stato. Sovrapponendo questi indici si nota che fino al 2010 sono aumentati di pari passo.
Gli autori dello studio hanno voluto provare che non ci fosse una correlazione spuria tra questi risultati, ma un rapporto di causa-effetto dove è il commercio a influenzare la democrazia. Per fare ciò hanno sostenuto che la distanza tra due paesi non sia data solo dalla geografia, ma anche dal cambiamento tecnologico, in particolare quello legato ai trasporti.

Sono state testate coppie di stati, come Giappone-Germania e Giappone-Stati Uniti. Nel primo caso utilizzare l’aereo per il commercio anziché la nave rende Berlino e Tokyo “più vicine” perché in questo modo ci vuole molto meno tempo per trasportare un bene. Ciò non avviene nel secondo esempio perché nell’oceano Pacifico non ci sono ostacoli e la differenza di tempo tra le due modalità di spedizione è trascurabile.

Partendo dall’intuizione che l’aumento dell'efficienza del trasporto aereo può ridurre, in alcuni casi, la lontananza effettiva tra due nazioni, i due studiosi hanno provato a prevedere il grado di commercio internazionale. In concreto sono stati presi in considerazione 116 paesi e ognuno è stato accoppiato con gli altri 115. Il tutto analizzato per ciascuno dei 65 anni necessari per arrivare al 2015.

Chi influenza chi

Fatto ciò, tutte le combinazioni tra stati possono essere raggruppate in tre insiemi: paese democratico con autoritario; autoritario con autoritario e, infine, democratico con democratico. Negli ultimi due casi, durante gli anni accade alcunché di rilevante al Polity score dei componenti delle coppie omogenee.

Invece nella prima casistica i due economisti hanno scoperto che si verifica un’influenza dove il primo stato, grazie al commercio, riesce a esportare anche la democrazia perché produce un aumento della qualità delle istituzioni dell’altro. Ma ciò è possibile a due condizioni: il paese autoritario deve importare di più rispetto a quello democratico e l’oggetto dello scambio non deve riguardare materie prime, come legno e petrolio, ma beni ad alto valore aggiunto, con una lunga filiera produttiva, e si citano le automobili e gli smartphone. Prodotti complessi con una componente culturale e una di benessere. «Le democrazie di solito esportano beni di valore maggiore», dice Marco Tabellini.
L’economista, due lauree in Bocconi e dottorato al Mit, spiega che «bisogna fare attenzione a tagliare fuori uno stato dal commercio internazionale. Ci sono implicazioni a cui i policy maker devono pensare». Anche se nel paper non sono stati studiati gli effetti sul Polity score nei paesi esclusi dagli scambi. «È rinomato tra scienziati politici ed economisti che dal 2000 si sia ridotta la democrazia nel mondo. C’è stata una diminuzione sia della qualità degli stati democratici sia del numero di questi ultimi», dice lo studioso che vede la democrazia come un modello esportabile nel mondo tramite il commercio.

I cittadini

Inoltre lo studio non si limita alle istituzioni, ma si occupa anche del rapporto dei cittadini di paesi autoritari con la democrazia. Utilizzando le risposte a un sondaggio di 220mila persone sparse nel mondo, i risultati mostrano che gli abitanti cresciuti mentre i loro stati commerciavano di più con partner democratici sono più inclini a questa forma di governo.

Si tratterebbe di un cambiamento misurabile perché si verificherebbe un aumento di 0,58 punti in una scala da uno a quattro. Anche in questo caso l’analisi ha preso in considerazione coppie di paesi. A livello nazionale, le stime implicano che l’incremento dell’80 per cento degli scambi commerciali con i partner democratici in un periodo di cinque anni abbia fatto salire il Polity score di quattro punti. Ciò equivale al divario tra Malesia e Canada nel 2010 o a quello tra Turchia e Senegal nel 2015. Insomma tramite le compravendite la democrazia sarebbe come un re Mida che spinge gli abitanti di uno stato autocratico a disprezzare la dittatura.

Cina e Russia

Resta un quesito aperto: il commercio con la Cina ha effetto sulle democrazie? Pechino ora esporta beni di qualità e, a lungo, ha registrato elevati tassi di crescita economica. Il suo ingresso nel 2001 nel Wto non sembra aver democratizzato il paese guidato da Xi Jinping, con un Polity score fermo a -7. E, grazie alla Nuova via della seta, una rete commerciale che parte da Pechino e si espande in tutto il mondo, la Cina punta a integrarsi nelle economie degli altri stati e non solo. Perché insieme alle merci viaggia anche la visione cinese. Con il risultato che potrebbe diventare un modello per le nazioni autoritarie e rallentare la loro transizione alla democrazia.

Inoltre, dalla caduta del muro di Berlino in poi, la Russia ha importato molti prodotti ad alto valore aggiunto dagli stati democratici, ma ciò non ha impedito a Vladimir Putin di conquistare il potere e di costruire, a poco a poco, una dittatura. E, anche in questo caso, l’ingresso di Mosca nel 2012 nell’Organizzazione mondiale del commercio non ha migliorato il Polity score del paese, rimasto stabile a +4 tra il 2007 e il 2018. In caso di dubbio, andando in carcere, ci si può rivolgere ad Alexey Navalny. A Boris Nemcov, invece, non è più possibile.

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