Senza campanacci e tamburi nelle strade, con un solo sciopero mesi fa e un blocco degli straordinari di cui pochi si sono accorti, i metalmeccanici hanno rinnovato il loro contratto nel disinteresse dei media e dell’opinione pubblica. Eppure l’accordo tra Federmeccanica e Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil siglato il 5 febbraio scorso è a suo modo storico. Non solo perché risponde in modo tempestivo – e vedremo quanto efficace – alla domanda di adattamento dei rapporti di lavoro in fabbrica resa pressante dall’emergenza Covid. Ma anche perché si intona alla nuova stagione politica del governo Draghi apparendo per certi versi un accordo di solidarietà nazionale.

Approccio diverso

Per la prima volta dopo molti anni gli industriali non hanno affrontato i sindacati come un avversario da chiudere nell’angolo per abbassare il costo del lavoro. Al contrario, hanno dato ripetuti segnali di aver capito che senza la partecipazione degli operai il declino industriale non si può fermare.

Si può dire che è stata l’emergenza Covid a guidare il presidente della Federmeccanica Alberto Dal Poz al tavolo della trattativa? Se lo chiede anche Michele De Palma, della segreteria nazionale della Fiom: «Diciamo che all’inizio del confronto non era affatto chiaro se si sarebbe arrivati a una chiusura, cioè al contratto. Questo era il punto». L’Italia è l’unico paese in Europa dove esiste la contrattazione nazionale cosiddetta di primo livello. I sindacati ne chiedono da anni il rafforzamento attraverso una estensione del valore legale delle sue tutele erga omnes mentre la Confindustria ha spinto per subordinarla ai contratti aziendali (secondo livello), ritenuti più flessibili e adattabili alle esigenze delle industrie. Questa volta però è andata diversamente. A un certo punto Federmeccanica ha deciso di sedersi al tavolo del negoziato. Secondo De Palma, «Confindustria ha valutato che in una fase di instabilità totale, sanitaria, economica, politica, di prospettive, con i rinnovi contrattuali fermi al palo anche a causa di alcune affermazioni poco felici del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, il contratto dei metalmeccanici, il più importante per il mondo produttivo, poteva rappresentare un elemento di stabilizzazione del sistema».

Secondo Raffaele Morese, ex segretario generale della Cisl, il contratto dei metalmeccanici si è confermato «bussola per il divenire» proprio per l’occhio rivolto al futuro delle competenze e agli strumenti partecipativi. L'esperto sindacalista vi legge una risposta al corporativismo sociale, ormai in crisi come il sovranismo politico. E lo lega alla nascita del governo Draghi come parte dello stesso «messaggio di fiducia» e «sguardo lontano».

Gli stipendi

La cartina di tornasole sarà la parte salariale dell’accordo, sicuramente la più discussa nelle assemblee che si svolgeranno nelle prossime settimane in presenza azienda per azienda, in base ai protocolli di sicurezza, per validare l’accordo con un referendum tra gli iscritti ai sindacati. Dalla soddisfazione dei lavoratori per gli aumenti e i benefit contenuti nell’intesa si misurerà lo stato dei rapporti di forza. Federmeccanica aveva inizialmente offerto solo 65 euro di aumento mensile, scaglionati nei tre anni di vigenza contrattuale. I sindacati hanno ottenuto aumenti a tre cifre sulla paga base, 100 euro per il terzo livello che è quello più “popoloso”. Gli aumenti dei minimi contrattuali incrementano il montante per le parti di salario accessorio-straordinari, notturno, tredicesima, Tfr.

Gli stipendi saranno rivalutati oltre l’inflazione programmata (Ipca) e ci sarà una estensione delle tutele di welfare aziendale sia per i giovani neoassunti sia per i pensionati dell’industria, oltre a un’inedita attenzione normativa alla protezione delle donne da violenze di genere e abusi in ambito lavorativo, con possibilità di richieste di trasferimento e di congedi di sei mesi.

La vera innovazione storica del contratto dei metalmeccanici è che cancella il vecchio inquadramento per mansioni, fossile fordista di quando ancora si parlava dell’operaio-massa, un fermo immagine in bianco e nero dell’industria italiana datato 1973. Il nuovo contratto prefigura i ruoli della fabbrica del futuro, dominata dall’automazione, e la trama di nuove relazioni industriali meno conflittuali e più collaborative.

Il modello sono i protocolli di sicurezza per il Covid-19, regole che hanno consentito di continuare la produzione senza rischiare la diffusione del contagio. I sindacati, la Fiom in particolare, dopo una serie di scioperi spontanei in vari stabilimenti in Lombardia, in Veneto e in Emilia-Romagna dove si erano sviluppati cluster all’inizio della pandemia, hanno ottenuto una sorveglianza congiunta di lavoratori e aziende fin nel più piccolo sito produttivo. Adesso che l’emergenza sanitaria, se non risolta, si considera governata in fabbrica, si passa all’emergenza più profonda, il rischio di declino industriale.

Le parti più innovative del contratto riguardano la formazione e il nuovo inquadramento, articolato in nuove “declaratorie”, la descrizione puntigliosa delle mansioni e delle competenze necessarie per gli avanzamenti di carriera.

Sono richieste conoscenze di inglese e di informatica per tutti e nove i livelli dell’inquadramento unico di operai e quadri. Si adegua il riconoscimento dei titoli di studio e dei corsi professionalizzanti alle raccomandazioni della Commissione europea sull’Eqf (European qualification framework) anche per favorire l’interrelazione tra le aziende dei vari paesi.

Oltre ai tradizionali criteri che valorizzano le capacità gerarchico-funzionali e tecnico-specifiche, si dà così rilievo a competenze trasversali e polifunzionali, codificando persino “l’adattamento multiculturale” tra le specifiche richieste, segno dei tempi e di una classe operaia non più solo bianca e cristiana.

Inoltre viene rafforzato il diritto soggettivo alla formazione già istituito nel contratto precedente del 2016 e soprattutto si rende più cogente il diritto alle 24 ore di formazione in azienda, trascinabili anche per sei mesi oltre la fine del triennio contrattuale. Queste 24 ore si aggiungono alle 150 ore per progetti formativi individuali di minimo trecento ore e alle 270 ore previste dal Fondo nuove competenze, tutte in orario di lavoro.

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