Matteo Salvini dovrà giocarsi le nomine che per competenza dipendono dal suo ministero con cura. Gli equilibri di governo da giorni si fanno e si disfano sulle cifre di spesa e sulle dichiarazioni più o meno avventate attorno al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e l’11 per cento della spesa di quel piano dipende da un solo gruppo industriale: le Ferrovie dello stato e in particolare la controllata Rete ferroviaria italiana che da sola gestisce interventi per 24,9 miliardi sui 25,9 in capo a Fs, come ha comunicato ieri la stessa società illustrando i risultati annuali del gruppo. 

Le ambizioni, spesso esondanti, del leader della Lega si sono fermate di fronte alla casella dell’amministratore delegato di Fs Luigi Ferraris, scelto dal governo Draghi nel 2021 e con un mandato in scadenza nel 2024: la parola d’ordine è rispettare le tempistiche aziendali, considerando già i problemi della famosa “messa a terra” del Pnrr, con buona pace di fantasiosi movimenti di Ferraris all’Enel che avrebbero in un colpo solo dato fastidio alla premier Giorgia Meloni e complicato gli equilibri interni al gruppo Ferrovie.

Il bivio tra Corradi e Macello

L’attenzione di Salvini e del suo viceministro, Edoardo Rixi, il vero uomo Infrastrutture della Lega, è quindi concentrata sulla controllata più strategica dal punto di vista degli investimenti del Pnrr e pure dei sogni di grandeur di Salvini sul Ponte sullo stretto: Rete ferroviaria italiana, che dal 2020 è guidata da Vera Fiorani, amministratrice delegata, scelta dall’allora ministra Paola De Micheli e data unanimamente in uscita.

Per dare un’idea del peso del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul piano industriale della società basti dire che solo i principali affidamenti dei lavori previsti dagli obiettivi Pnrr valgono oltre 4,85 miliardi, su un totale di 15 miliardi di gare aggiudicate. Mentre per venire incontro ai sogni salvo intese di Salvini per Rfi è stato riservato un posto nella governance del Ponte sullo stretto. In ogni caso né il leader leghista  né il governo Meloni possono permettersi di mettere un manager che non abbia già competenze nel settore. Facile capire perché i nomi che circolano internamente si limitano a due. Il primo è  Vincenzo Macello, responsabile degli investimenti fino a giugno 2022 e da luglio dello scorso anno promosso a vicedirettore generale della società, il secondo caldeggiato dalla dirigenza leghista è Luigi Corradi, l’attuale amministratore delegato di Trenitalia, genovese come Rixi, con cui è in ottimi rapporti, e che giocherebbe comunque in casa.

Macello garantirebbe più continuità nel percorso del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dei suoi progetti miliardari, ma i leghisti possono giustificare la loro scelta con il fatto che Macello è imputato nel processo per il disastro ferroviario di Pioltello del 2018: all’epoca del deragliamento del treno pendolari sulla linea Cremona-Milano in cui morirono tre persone e furono un centinaio i feriti, Macello era al vertice della Direzione territoriale produzione della Lombardia. Pur non essendoci un vincolo formale, la sua candidatura potrebbe affossata da una questione di opportunità. 

Intanto Ferraris inizia l’ultimo anno del suo mandato confortato anche dai risultati positivi approvati ieri dal consiglio di amministrazione. Secondo la relazione finanziaria del gruppo, le Ferrovie dello stato hanno chiuso il 2022 con un aumento del risultato netto del 5 per cento a 202 milioni di euro e della crescita dell’Ebitda pari a oltre 1,1 miliardi. Nel 2021 i risultati erano stati aiutati da ristori per l’emergenza Covid-19 pari a 800milioni di euro, che quest’anno sono drasticamente calati, ma l’attività è parallelamente in forte ripresa. E il futuro è segnato soprattutto dalla cascata di appalti miliardari cheil gruppo ha in programma tra investimenti propri e progetti del Pnrr. Nel 2022 la spesa per investimenti tecnici è cresciuta del nove per cento e sul fronte Pnrr, oltre ai lavori assegnati, solo negli ultimi 12 mesi sono stati pubblicati bandi di gara per altri 26 miliardi

La grossa parte sarà almeno per i prossimi anni gestita da un amministratore delegato di Rfi approvato dal Carroccio.

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