«A primavera partiamo con la nuova Alitalia», dicono speranzosi i nuovi capi della compagnia nel frattempo ribattezzata Ita. Hanno presentato lo schema di piano industriale preparato da Boston Consulting (gli stessi advisor del fallimentare piano Fenice redatto per i tristemente noti Capitani coraggiosi messi in pista da Silvio Berlusconi) e sono pronti a ricevere i 3 miliardi dello stato per avviare in sicurezza l'operazione. Mettono in conto di dover ballare un po' con i sindacati per mandar via qualche migliaio di persone, 5 mila, forse di più, la metà circa dei 10.600 dipendenti attuali. E poi sanno di dover tribolare per far trangugiare ai piloti la riduzione della flotta da 104 aerei a 52, ma insomma, ormai pensano che la strada sia in discesa. Purtroppo non è così.

Appesi al prestito Covid

Facendo finta per un momento di credere che il progetto di rilancio in gestazione sia realistico e realizzabile e dando per scontato che l'Europa chiuda non uno ma entrambi gli occhi e dia il via libera all'operazione, a primavera la vecchia Alitalia affidata al commissario Giuseppe Leogrande bisogna pure che ci arrivi. E non è affatto una passeggiata, non solo per il Covid. Dall'interno della compagnia fanno sapere che nelle casse di Fiumicino non ci sono più soldi, o meglio c'è un rimasuglio che basta sì e no per due o tre settimane. Il nuovo amministratore delegato, Fabio Lazzerini, lo ha sorprendentemente confessato a un sito specializzato nel settore del turismo, Travel Quotidiano, specificando che Alitalia ha in cassa appena 20 milioni di euro. In ogni modo Lazzerini ha dichiarato con spirito natalizio di essere felice.

I brividi che hanno accompagnato l'erogazione delle retribuzioni di dicembre sono la conferma più evidente delle difficoltà di cassa. A differenza degli altri anni questa volta stipendi e tredicesima non sono stati pagati con regolarità e su whatsapp è circolata una nota di fonte sindacale diretta ai dipendenti per informarli che la tredicesima viene pagata il 23 dicembre, mentre per l'accredito dello stipendio «la data presunta sulla quale NON c'è ancora certezza è il 30 dicembre prossimo venturo». L'accredito dipende dall'arrivo dei soldi del prestito statale di 150 milioni di euro concesso per far fronte alle disastrose conseguenze della pandemia, ma che non ha ancora ricevuto l'assenso da parte dell'Unione europea.

Le perdite continuano a essere gigantesche, amplificate dagli effetti del Covid. La coppia Leogrande commissario e Giancarlo Zeni direttore dopo un anno esatto di nuova gestione ha polverizzato altri 750 milioni di euro tra prestiti, aiuti per il Covid e interessi, con una perdita media di poco meno di 60 milioni al mese. Considerando che la pandemia affliggerà il trasporto aereo ancora chissà per quanto e quindi è praticamente impossibile che i conti almeno nel breve periodo migliorino, per arrivare a fine primavera a inizio estate, come è più realistico dati i tempi tecnici necessari per la partenza, Alitalia per non morire ha quindi bisogno nel frattempo di almeno altri 300 milioni di euro. La metà di questi dovrebbero arrivare dopo l'eventuale via libera dell'Unione europea al prestito Covid, ma mancano ancora 150 milioni.

Per gli stipendi 26 milioni di euro al mese

Lo Stato ci metterà l'ennesima toppa? Quale stratagemma potrà escogitare questa volta per giustificare l'ennesima elargizione di denaro pubblico visto che la commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, segue con un occhio particolarmente attento la vicenda Alitalia con l'obiettivo di evitare che alla compagnia siano erogati aiuti di stato? Nei prossimi mesi Alitalia dovrà continuare a onorare uscite ineludibili, a cominciare proprio dal pagamento degli stipendi. Sono circa 26 milioni di euro che la società deve ogni mese accreditare ai circa 10.600 dipendenti: 18 milioni e mezzo per i lavoratori in servizio, altri 7 e mezzo circa come anticipazioni nei confronti dell'Inps per la cassa integrazione che riguarda l'equivalente di 6.800 persone.

Solo a quel punto, quando tutte queste tessere di un confuso mosaico saranno più o meno rocambolescamente collocate nella loro giusta posizione, Ita potrà davvero partire. Con un altro bell'assegno di 3 miliardi di euro sotto forma di nuovo capitale da spendere dopo essersi lasciata alle spalle 1 miliardo e 650 milioni circa di soldi pubblici bruciati durante le due gestioni commissariali precedenti a partire da maggio 2017. Novecento milioni di prestiti concessi alla triade commissariale Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, altri 400 dati a Leogrande un anno fa, più 145 milioni di interessi non pagati e infine 199 milioni per il Covid.  Al totale saranno infine aggiunti altri 150 milioni se avranno il via libera dell’Europa.

La nuova Ita rulla su una pista accidentata con un piano per molti versi simile a quelli del passato che finora hanno prodotto solo macerie. Messi di fronte a ipotesi di tagli massicci al personale, i sindacati, da quelli confederali al Cub, hanno già manifestato la loro contrarietà al piano. Navaid, sindacato piloti e assistenti di volo in rapida crescita per bocca del presidente, il comandante Danilo Baratti, definisce «ridicolo» il numero di aerei previsto che contrasta con l'obiettivo dichiarato di «rilanciare il paese e creare un ponte verso l'Italia da tutto il mondo». È evidente che tagli drastici al personale e alla flotta prefigurano una nuova compagnia che per l'ennesima volta sarà costretta ad allearsi con qualche grande partner straniero, preferibilmente europeo. Di nuovo Air France o Lufthansa in una specie di estenuante gioco dell'oca.

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