La presentazione di un emendamento alla legge di bilancio per il 2021, favorevole all’introduzione di una imposta sui patrimoni, ha suscitato l’usuale putiferio mediatico. L’emendamento ha più il sapore di un segnale politico che di una proposta concreta; riforme importanti del sistema tributario vanno meditate a lungo sul piano tecnico e discusse in anticipo con l’opinione pubblica; si fanno perciò tipicamente con legge delega, certo non con un emendamento last minute alla legge di bilancio. Detto ciò, il tema è importante e merita qualche riflessione ulteriore.  

L’imposta progressiva

In primo luogo, è bene chiarire che qui si sta parlando di un’imposta ordinaria sul patrimonio, che accompagni le usuali imposte sui redditi e sui consumi, non di un’imposta straordinaria sui patrimoni per finanziare il debito pubblico, una confusione che viene deliberatamente alimentata dai giornali della destra più becera. In secondo luogo, va anche detto che imposte patrimoniali ordinarie già esistono nel contesto italiano. Il patrimonio immobiliare è tassato tramite l’Imu, anche se limitatamente alle seconde case e agli edifici commerciali, e l’imposta di bollo sui conti correnti bancari e sui conti di deposito titoli è una forma di patrimoniale sulla ricchezza finanziaria. Infine, anche se ridotta ai minimi termini, esiste anche un’imposta di successione, cioè una tassazione sul trasferimento della proprietà tra generazioni. Tranne l’ultima, che dipende dalle caratteristiche dei contribuenti, tutte le altre sono però imposte reali; cioè imposte che hanno come riferimento un oggetto specifico (il patrimonio) e non il soggetto che possiede questo patrimonio. La novità della proposta è l’idea di introdurre una imposta personale sul patrimonio, un’imposta cioè la cui aliquota dipende dal patrimonio personale posseduto da un particolare contribuente. È questo che permetterebbe a questa imposta di diventare progressiva, mentre le altre imposte patrimoniali menzionate in precedenza sono imposte proporzionali. Cioè si potrebbe costruire una imposta in cui le aliquote crescono al crescere del patrimonio personale; zero fino ad un certo livello, ad aliquote crescenti per livelli di ricchezza successivi. L’effetto redistributivo di questa imposta e la sua superiorità rispetto a quelle reali già esistenti dipende esattamente da questa caratteristica. 

Manca l’anagrafe

Ma qui è dove casca l’asino, sull’effettiva praticabilità di questa proposta. Noi non abbiamo una anagrafe patrimoniale che ci permetta di riportare ad un particolare contribuente l'insieme del suo patrimonio; bisognerebbe anche specificare se questo contribuente è la famiglia o l’individuo, tenendo conto degli effetti distorsivi che una scelta o l’altra potrebbe determinare in termini di distribuzione del patrimonio; bisognerebbe anche discutere su quali elementi del patrimonio considerare e di come valutarlo. Per esempio, la ricchezza finanziaria è facilmente valutabile perché il suo prezzo si forma continuamente sui mercati; è già molto più complicato valutare il valore degli immobili, per non parlare di altre forme con cui la ricchezza può essere detenuta (oro, gioielli, quadri..). È anche bene rendersi conto che qualunque scelta venisse fatta in merito a sottoporre solo alcuni cespiti piuttosto che altri a tassazione, immediatamente condurrebbe a comportanti difensivi da parte dei contribuenti. Naturalmente, questo non significa che questi problemi non potrebbero essere in linea di principio affrontati; altri sistemi tributari hanno imposte patrimoniali personali (l’esempio più noto è la tassa sulla fortuna francese e c’è ora l’iniziativa spagnola), anche se il loro ruolo si è andato riducendo nel corso del tempo; e non c’è dubbio che le moderne tecnologie informatiche, mettendo assieme diverse banche dati, potrebbero rendere più facile costruire adesso anagrafi patrimoniali di quanto non fosse possibile in passato.

La privacy sui patrimoni

Che si possa davvero fare nel caso italiano, dove impera il garante della privacy, è però tutt’altra questione. Si trema al pensiero di quali vincoli verrebbero imposti a qualunque tentativo serio di integrare banche dati esistenti; inoltre, nonostante i progressi svolti in termini di scambi di informazione con l’estero, è molto probabile che componenti importanti del patrimonio detenuti all’estero  dai contribuenti più ricchi sfuggirebbero comunque alla tassazione. In più, il dibattito sulla patrimoniale in un paese oberato da un elevato debito pubblico e con i mercati dei capitali aperti è sempre pericoloso e andrebbe affrontato con cautela. 

Riequilibrare il sistema

Per queste ragioni, invece di inventarsi una nuova imposta patrimoniale personale, sembrerebbe più sensato rafforzare le imposte patrimoniali esistenti, a cominciare dalle tasse di successione, dove questi problemi sono meno rilevanti, e riportando a tassazione cespiti ora assurdamente esclusi, quali le abitazioni di residenza di maggior valore. Ma al di là della forma specifica che potrebbe assumere, c’è bisogno di un maggior peso delle imposte patrimoniali nel sistema tributario italiano? All’interno di una riforma complessiva, la risposta è positiva. Il nostro sistema tassa pesantemente i fattori produttivi da cui ci aspettiamo maggiore crescita, cioè capitale e lavoro, e relativamente poco patrimonio e consumi. Un riequilibrio sarebbe dunque utile per motivi di efficienza. In più, mentre la saggezza ricevuta è che la distribuzione della ricchezza in Italia sia relativamente poco sperequata rispetto ad altri paesi, ricerche recenti mostrano, a partire dall’ultima crisi finanziaria, un preoccupante incremento nella disuguaglianza. È dunque sicuramente un tema da considerare.

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