«Dobbiamo riscoprire una parola fondamentale: ridistribuzione». Basta una sola frase, un vocabolo, una promessa che a sinistra non si sentiva da tempo, per spiegare la differenza del programma economico di Elly Schlein rispetto al Movimento cinque stelle dei bonus per tutti e a Stefano Bonaccini che le contendeva la segreteria del Partito democratico.

Il coordinatore del programma economico di Schlein è - forse per mancanza di competenze nel suo entourage più stretto–  lo stesso di Enrico Letta, Antonio Misiani. Ma è proprio Misiani a spiegare che la mozione della segretaria «ha maggiore visione di quella del 25 settembre, è più coerente, è un programma economico per il mondo contemporaneo». «Ci hanno criticato perché non c’è la parola crescita, ma la crescita lineare ha portato alla crisi climatica, noi parliamo di sviluppo che è qualitativamente differente.

Siamo partiti da tre grandi questioni: clima, lavoro e disuguaglianze, questioni che sono interconnesse fra loro e quindi le abbiamo affrontate insieme», argomenta, ammettendo anche che “Elly” ha potuto dire cose che Letta non poteva dire. Un riferimento neanche troppo velato al superamento del Jobs Act, la presa di distanza da una stagione del Pd che la nuova segretaria può, lei sì serenamente, buttarsi alle spalle.

Più tasse di successione, meno tasse sul lavoro

 In nome della ridistribuzione, la mozione Schlein è molto più netta sulla questione fiscale: attraverso il fisco, dice il programma, vanno ridistribuiti «i redditi e la ricchezza» in modo da contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali. Più concretamente l’obiettivo è intervenire superando «la balcanizzazione dell’Irpef e la proliferazione di regimi speciali di favore».

Sono i famosi regimi sostitutivi, a partire dalla cosiddetta flat tax per i lavoratori autonomi, che si sono moltiplicati negli ultimi anni erodendo in maniera poco trasparente la base imponibile della imposta che porta maggiore gettito al bilancio dello stato.

Schlein fa sua una delle battaglie che la sinistra aveva perso durante la discussione della delega per la riforma fiscale ai tempi del governo Draghi: cioè il principio di equità orizzontale, per cui contribuenti con parità di reddito devono pagare lo stesso livello di imposte, mentre oggi oltre ai regimi sostitutivi di tutti i tipi,  l’imposizione sui redditi delle persone fisiche è anche differenziata tra dipendenti, autonomi e pensionati. Il principio dell’equità verticale, cioè quello per cui chi ha di più contribuisce di più, va esteso oltre l’Irpef: il carico fiscale, dice Schlein, va spostato dal lavoro e dall’impresa «alle rendite e alle emissioni climaalteranti»

Plastic tax ma incentivi per le imprese “sostenibili”

In concreto la proposta è portare la tassa di successione a livello di altri paesi europei: a oggi il fisco italiano incassa meno di un miliardo di euro contro i poco meno di tre miliardi della Spagna, i quasi sette della Germania, per non parlare della Francia che supera i 13 miliardi.

Altra proposta chiara: smetterla di rinviare la plastic tax e eliminare la montagna di sussidi ambientalmente dannosi, finanziamenti ad attività inquinanti già mappate dal ministero dell’Ambiente ai tempi del Conte II, ma su cui al momento non si è fatto nulla.

Anche Bonaccini nel programma propone di tassare di più rendita e ricchezza attraverso una imposta unica su tutti i redditi, ma nelle interviste preferisce parlare di tassazione minima sulle multinazionali, senza chiarire che sarà introdotta in tutta l’Ue a partire dal 2024. Schlein almeno non teme di dare il nome alle cose, in questo caso l’aumento della tassa di successione, e senza inventarsi doti a tutti i diciottenni. Agli autonomi al posto della flat tax, viene offerta l’estensione delle tutele e una riforma dell’equo compenso.

Bonus e reddito da ridisegnare

La nuova segretaria del Pd prende nettamente le distanze sia dalle politiche anti transizione della destra, sia dalla stagione dei bonus a pioggia del governo Conte 2. Gli incentivi per l’edilizia per esempio devono essere «stabili» e essere legati al raggiungimento di standard energetici e anche sismici – con il superbonus abbiamo invece ristrutturato case con i soldi di tutti anche in zone sismiche e senza prevedere alcun criterio di sicurezza contro i terremoti. Soprattutto gli incentivi non devono essere uguali per tutti, ma devono essere disegnati «in modo da evitare effetti regressivi e aiutare le fasce disagiate».

Criteri diversi anche per il reddito di cittadinanza, che va modificato seguendo le direttive della commissione Saraceno, che prevedeva tra le altre cose di riformarlo a parità di spesa a vantaggio di stranieri e famiglie numerose. 

Niente di interessante sul fronte delle pensioni, ma tutti i fondamentali di ogni partito socialdemocratico europeo: piani di edilizia residenziale pubblica, investimenti di livello europeo sul fondo sanitario nazionale e su scuola e università, inclusi aumenti degli stipendi per gli insegnanti e per i ricercatori. 

Ma tra le tante proposte prevedibili, alcune sono difficilmente comprensibili come il sostegno agli atenei di aree interne e sud italia in quanto «presidi di cultura e socialità» (è alle università che viene demandato il mantenimento del tessuto sociale di un territorio?). 

Pensioni e lavoro

Sul lavoro c’è una presa di distanza nettissima dal Jobs Act e dal decreto Poletti della stagione renziana. Il “ nuovo” Pd guarda alla Spagna e alla sua nuova legge per limitare i contratti a termine aprendo un tavolo di confronto con imprese e sindacati (il decreto Dignità dei cinque stelle viene ignorato). In più rilancia il modello dei workers buyout, cioè delle acquisizione da parte dei dipendenti delle aziende in crisi. 

Schlein propone anche la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: il tema è in cima all’agenda della confederazione dei sindacati europei, ma nel nostro paese in crisi ventennale di produttività e anche confuso sul significato di produttività rischia di essere derubricato a inaccettabile. «Non si tratta di ridurre l’orario di lavoro per legge, come nella Francia di 35 ore», dice Misiani, «ci sono già aziende che lo hanno messo in pratica, vogliamo incentivare chi già sta andando in quella direzione».  

Schlein propone di rafforzare l’ispettorato del lavoro, alla cui guida l’attuale ministra Maria Calderone,ha voluto l’ex direttore generale dei soliti consulenti del lavoro. Si tratta di una urgenza sottovalutata: il numero degli ispettori è in calo da dieci anni, nonostante tutti i problemi di sicurezza sui luoghi di lavoro, la necessità di contrastare fenomeni di caporalato ma anche il livello elevato di evasione fiscale sui redditi di impresa.

Sostegno alle imprese ecologicamente orientato

Le imprese sono citate sette volte nel programma e il modello pur non esplicitato è l’azienda che risponde a tutti i portatori di interesse, non solo agli azionisti, una definizione studiata ormai da anni nelle business school. I vantaggi fiscali per le aziende vengono legati al contributo che possono dare allo sviluppo sostenibile e a criteri di responsabilità sociale di impresa.  

Le aziende, secondo Schlein, vanno aiutate seguendo un doppio canale: le produzioni ad alto valore aggiunto attraverso incentivi alla ricerca e sviluppo, quelle a basso valore aggiunto, attraverso la tutela dei marchi e del Made in Italy. Si tratta di qualcosa che già avviene ma per la prima volta viene messo nero su bianco che il made in Italy non ha bisogno di essere protetto se è competitivo dal punto di vista dell’innovazione tecnologica.

Nel programma viene citata esplicitamente Elettricità futura, cioè l’associazione dei produttori di energia elettrica da rinnovabili che è solo una delle associazioni che compongono Confindustria energia e di certo non la più potente. Ma è con loro che si schiera Schlein, alla ricerca di una sponda in un mondo che non conosce, contro nucleare ma anche contro l’ipotesi di nuove trivellazioni, peraltro bocciata anche dal mercato: anche se il governo ha puntato molto sull’estrazione di metano nostrano, non c’è grande offerta da parte delle stesse imprese estrattive. 

Il coordinamento delle partecipate 

Il compito dello stato, secondo la neo segretaria, è quello di orientare gli investimenti, anche «rafforzando e coordinando il ruolo nella transizione delle grandi società partecipate dallo stato», che devono diventare sempre di più punto di riferimento della piccole e medie imprese.

Lo schema è quello già praticato anche se non dichiarato del Pnrr, dove di fatto sono le capofila dei piani di investimento che poi interessano tutte le filiere. L’idea di coordinare le strategie delle partecipate per rafforzare una transizione ecologica che punta prima di tutto sulle rinnovabili, se concretizzata sarebbe un capovolgimento rispetto ai rapporti di forza odierni.

Perché solo l’amministratore delegato di Enel Francesco Starace si è schierato apertamente contro una transizione basata sul gas, ma anche perché le politiche industriali del paese finora sono state decise più dai board delle grandi aziende, sì partecipate ma anche private e quotate, che dal governo. 

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