Il presidente del consiglio Mario Draghi a Versailles dice che bisogna andare avanti con l’agenda del Piano nazionale di ripresa e resilienza – 102 sono gli obiettivi e i traguardi da centrare quest’anno – ma a Roma ha lasciato il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, che è convinto che alcuni degli obiettivi così come sono scritti, con quelle tempistiche e con questo contesto economico, non siano raggiungibili e lo dice apertamente mentre Draghi sta discutendo con gli altri capi di stato e di governo europei l’emergenza, anche economica, del conflitto ucraino.

Questa mattina Giorgetti, alla guida di un ministero a cui sono stati affidati più di 15 miliardi di fondi, ha usato termini che non possono essere fraintesi: «Il Pnrr è nato con una tempistica, con degli obiettivi e con scadenze precise e mi sembra palesemente impossibile raggiungere qualche goal che è stato posto».

Per questo, secondo il ministro leghista, «il piano nazionale di ripresa e resilienza a tempo debito andrà ridiscusso».

Il tempo debito

Non è chiaro quando potrà essere il tempo debito, al momento la sola cosa certa è che a giugno la Commissione Ue rivedrà la distribuzione di parte dei fondi in base all’andamento del Pil dei due anni di pandemia e noi che, parole di Draghi, «veniamo da una crescita eccezionale», siamo candidati ad avere meno fondi da spendere di prima.

Secondo Giorgetti però dovrebbe essere aggiornato «il pilastro della transizione green e digitale», cioè le due voci che insieme assorbono il 67 per cento delle risorse, mentre sul fronte delle infrastrutture con «la lievitazione dei prezzi materie prime è impossibile rispettare certi tipi di obiettivi».

A qualche centinaio di chilometri di distanza intanto Draghi dichiarava che «è importantissimo continuare a svolgere quella agenda», «altrimenti mettiamo a rischio i finanziamenti di giugno e dicembre».

La sponda di Zaia

Giorgetti però non è il solo a chiedere modifiche. A fargli da sponda ieri è intervenuto anche il presidente della regione Veneto e suo collega di partito, Luca Zaia, che ha fatto suo il ragionamento del ministro: «Il piano è nato con determinati intendimenti in un contesto storico di pochi mesi fa, radicalmente diverso da quello di oggi, alla luce di questa folle guerra scoppiata in Ucraina».

Secondo Zaia è «fondamentale dunque che anche il Pnrr sia oggetto di revisione durante i negoziati europei», per renderlo «più compatibile con le esigenze dell’economia, appesantita dai rincari, dalla scarsità di materie prime e alimentari». Le esigenze del paese, secondo il presidente di regione, sarebbero oggi profondamente cambiate.

Nel mondo delle imprese le posizioni sono diverse. L’amministratrice delegata di Rete ferroviaria italiana, Vera Fiorani che quindi guida la più grande centrale di committenza di opere dell’intero piano, ha invece pienamente confermato al Sole 24 Ore la tabella di marcia dei bandi per il 2022, gare per 15 miliardi di euro.

Rfi ha dovuto aggiornare il prezzario a gennaio e rivedere le basi d’asta: Fiorani ha ammesso che i costi sono già lievitati di circa il 16 per cento rispetto alle stime iniziali per un aumento di circa 2,5-3miliardi, ma non al punto da modificare l’agenda.

Secondo l’associazione nazionale costruttori edili (Ance) se il governo non interviene rapidamente per calmierare i prezzi e compensare i costi dovuti ai rincari di tutte le materie prime – dall’acciaio all’alluminio oltre che di gas e carburanti – i cantieri del Pnrr chiuderanno e «il Piano fallisce».

Proprio sugli aumenti a Versailles Draghi ha chiesto una risposta comune: «Noi abbiamo speso 16 miliardi già ora per mitigare l’effetto dei rincari, quindi bisogna che sia una risposta europea». Far saltare gli obiettivi del Piano finanziato dagli altri paesi non è probabilmente la migliore strategia per ottenerla.

 

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