Se si guarda al Piano nazionale di ripresa e resilienza dal punto di vista della valutazione delle politiche le domande da porsi sono molteplici ma quelle oggi più urgenti sembrano essere queste: perché è importante la valutazione nella fase di attuazione del Piano e, considerando lo stato embrionale in cui si trova la cultura della valutazione nel nostro paese, cosa può ostacolare o favorire un effettivo ed efficace ricorso ad essa?

Per rispondere a queste due domande, con speciale riferimento alle politiche di coesione sociale, la Direzione centrale studi e ricerche dell’Inps e il programma VisitInps hanno organizzato nei giorni scorsi due convegni ai quali hanno partecipato il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, studiosi di valutazione delle politiche e trattamento dei dati, dirigenti di ministeri e di vari enti pubblici nonché dell’Autorità garante per la protezione dei dati.

Le clausole della Commissione

Le relazioni, ricche e interessanti, hanno permesso, tra molte altre cose, di approfondire le clausole valutative richieste dalla Commissione europea nella fase di realizzazione del Pnrr, in un contesto nazionale in cui la valutazione delle politiche pubbliche nel nostro paese rimane un auspicio piuttosto che una pratica diffusa, e diversi fattori ne frenano la diffusione e – soprattutto – il proficuo utilizzo.

A riguardo dello stato della valutazione delle politiche è emerso che non sono pochi i luoghi, non soltanto accademici, dove vengono valutate le politiche, ma spesso al termine alla valutazione vengono attribuiti significati diversi. Alcuni interpretano la valutazione solo nella dimensione ex-ante, ovverosia analisi degli attori coinvolti e ipotesi sui comportamenti degli attori. Molte delle relazioni tecniche che accompagnano i disegni di legge hanno questa impostazione.

Altri considerano la valutazione un monitoraggio della attuazione delle politiche, dove quindi si verifica se e quanto le misure proposte siano riscontrate dai potenziali utilizzatori. Altri ancora ritengono che la valutazione vada letta in una prospettiva ex-post, verificando se beneficiari e non beneficiari delle misure abbiano adottato comportamenti diversi grazie alle politiche introdotte.

Queste visioni coesistono anche perché manca un coordinamento a livello istituzionale e anche una più frequente pratica di confronto a livello europeo. In tutte le pubbliche amministrazioni esistono degli Oiv (Organi interni di valutazione), in molte leggi, sia regionali che nazionali, sono presenti clausole valutative, diverse fondazioni sponsorizzano progetti di intervento con annessa attività valutativa (basti pensare ai progetti contro la povertà educativa).

La necessità dei dati

Tuttavia quello che manca ancora in Italia è che i risultati di queste analisi valutative possano retroagire informando l’attività del legislatore. Occorre, insomma, una cultura del policy making che riconosca alla valutazione un ruolo propositivo, rovesciando tendenze che persistono da lungo tempo e che hanno radici non troppo difficili da individuare. Occorrono innanzitutto dati con granularità adeguata al fenomeno da analizzare, che presuppongono la loro produzione e la possibilità di accedervi e di utilizzarli con facilità. Sotto questo aspetto la disponibilità di dati amministrativi – da raccogliere, possibilmente, in modo più copioso – ed eventualmente da integrare con i dati statistici è una condizione cruciale per una valutazione di qualità. Soddisfare tale condizione non è, però, facilissimo. Gli ostacoli principali riguardano la interoperabilità di dati raccolti da enti amministrativi diversi, il grado di cooperazione che si instaura tra di essi e la compatibilità dell’uso di questi dati con l’applicazione delle norme a tutela della privacy.

Sotto quest’ultimo aspetto si è osservato che la pandemia ha posto numerose sfide rendendo più acuta la contrapposizione tra il diritto alla privacy e quello alla tutela della salute e di altre dimensioni (anche economiche, come per esempio il diritto a un reddito di emergenza), rilevanti per il benessere. Nel secondo convegno è emersa la consapevolezza che occorre, con responsabilità, trovare un miglior bilanciamento tra questi diritti confliggenti.

Le ragioni per considerare la valutazione indispensabile nella fase di realizzazione del Pnrr sono fin troppo numerose. Il banale punto di partenza è che nessun piano, anche quello che sia stato predisposto facendo il miglior uso possibile della valutazione ex ante (e non sembra questo il nostro caso), può fare a meno di una attenta e rigorosa valutazione in itinere se vuole avere successo. Si tratta di verificare se si sta procedendo verso il conseguimento degli obiettivi, se le risorse previste sono adeguate, di individuare gli ostacoli di cui non si è tenuto conto e gli strumenti che consentono di superarli, si tratta anche di precisare meglio, e forse anche arricchire, gli obiettivi che ci si è dati. Di tutto questo vi è certamente bisogno nel caso del Pnrr; in realtà, molte delle critiche di cui esso è stato, ed è, oggetto rimandano all’uno o all’altro di questi problemi e, dunque, alla necessità della valutazione in itinere per correggerli.

Ma è evidente che la valutazione che ci sta più a cuore non è tanto quella che riguarda la capacità di spesa e neanche quella che si limita a verificare il raggiungimento di specifici traguardi e obiettivi (milestones and targets) che, secondo i tradizionali indirizzi della Commissione, certamente non mancheranno. È, piuttosto, quella che valuta se e in che misura i percorsi disegnati dal legislatore conducano complessivamente verso una società e un’economia più eque ed efficienti.

Da questa prospettiva la questione della cabina di regia, di cui molto si discute, si presenta in termini molto semplici: non è così importante come essa sarà composta, ma come essa opererà; e se, fin da ora, non si impegna a dare lo spazio necessario alla valutazione, affrontando tutti i problemi di cui si è detto, la cabina rischia di condurci in sentieri che non vorremmo più frequentare.

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