Ogni mediazione è fallita e ieri sera in commissione Finanze della Camera il centrodestra ha votato compatto contro la revisione del catasto e quindi contro il governo. A salvare l’esecutivo sull’emendamento che prevedeva la cancellazione dell’aggiornamento dei valori catastali dal disegno di legge sulla delega fiscale è stato solo il voto di Alessandro Colucci di Noi con l’Italia, il partito di Maurizio Lupi.

Il governo ha presenziato ai lavori della commissione, rappresentato dal ministro per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà, dalla sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra e dal consulente di Mario Draghi, Francesco Giavazzi, mentre una delegazione di Forza Italia ha fatto per due volte la spola con palazzo Chigi incontrando Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier per cercare l’accordo su un nuovo testo.

Tra governo e parlamento

La proposta di mediazione che ieri circolava era nettamente al ribasso e difficile da presentare con un catasto non aggiornato da almeno 30 anni e a fronte di una imposizione fiscale profondamente squilibrata a sfavore del lavoro – e quindi della crescita – e a vantaggio del patrimonio come in nessun altro paese Ue. Il testo riformulato, infatti, condizionava la delega alla consultazione con gli enti locali e le «associazioni di categoria più rappresentative», ma soprattutto limitava l’azione del governo all’individuazione degli immobili abusivi e fantasma, lasciando solo un riferimento alle competenze dell’Agenzia delle entrate sul classamento degli immobili.

Una volta che la cosiddetta “mediazione” è fallita, i deputati della Lega hanno detto che non avrebbero «accettato l’aggiornamento costante dei valori di mercato che significa più tasse» e hanno aggiunto: «Hanno deciso loro di rompere la trattativa». Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e i due componenti del gruppo Misto, Alessio Villarosa e Alvise Maniero, hanno votato quindi l’emendamento che stralciava l’aggiornamento, lasciando al governo una vittoria di misura: appena 23 voti contro 22.

Il «ruolo attivo» del governo, annunciato da Guerra all’inizio dei lavori, non è riuscito a cambiare la posizione di quegli stessi partiti che, solo pochi anni fa, hanno votato la riforma del catasto del governo Renzi che prevedeva la variazione dell’imposizione fiscale, mentre oggi si oppongono a una delega che non prevede effetto sulle imposte. Il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha detto che il centrodestra ha cercato di fare cadere l’esecutivo. La Lega ha detto che d’ora in poi sul fisco si tiene le mani libere.

Durissime, nei confronti del governo, anche le dichiarazioni del presidente dei deputati di Forza Italia, Paolo Barelli, che ha spiegato come il suo partito fosse al lavoro da tre giorni sul testo alternativo e come la proposta di mediazione fosse stata redatta «a palazzo Chigi»: «È incomprensibile che il testo redatto a palazzo Chigi – relativamente alla riformulazione di un articolo della delega fiscale in materia di catasto, sul quale si poteva lavorare per avere la condivisione di tutti i partiti di maggioranza – non sia stato presentato in commissione dallo stesso governo che lo aveva preparato».

Il vicepresidente della commissione Finanze della Camera, il leghista Alberto Gusmeroli, ha commentato: «Con la riforma del catasto a valore di mercato, più tasse per tutti gli italiani e sulle compravendite anche delle prime case. Non solo: anche Isee più alto e quindi tante famiglie non più esenti o che pagheranno di più servizi come asilo nido, mensa, scuolabus e assistenza domiciliare».

Sommersi e salvati

Peccato che non sia così: se l’aggiornamento del catasto fosse tradotto in imposte, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, a invarianza di gettito, cioè con le stesse entrate per lo stato, «l’asimmetria della distribuzione degli scostamenti tra valore patrimoniale e catastale, che evidenziano una concentrazione delle maggiori sperequazioni su segmenti circoscritti di immobili, sembrerebbe suggerire che a parità di gettito si avrebbero più avvantaggiati che svantaggiati».

L’Upb lo spiegava a fine ottobre in una audizione sul federalismo fiscale. A mesi di distanza si prosegue a non dire che ci sono avvantaggiati e svantaggiati. Nella stessa audizione gli esperti dell’Upb spiegavano anche che «l’incapacità dell’attuale sistema catastale di restituire un’adeguata valorizzazione degli immobili si riflette nell’iniquità della distribuzione del prelievo, determinata dagli scostamenti tra il valore catastale e l’effettivo valore dell’immobile».

Questo significa che i contribuenti con situazioni patrimoniali simili, per mancanza di un catasto aggiornato, sono tassati in maniera differente dallo stato. Nel 2014, per citare numeri citati nella stessa audizione, secondo i dati dell’Agenzia per il territorio, il rapporto medio tra valore di mercato e valore catastale ai fini Imu era del 2,9, ma per il 25 per cento il rapporto era sotto l’1,6 – quindi i due valori erano più vicini – mentre per un altro 25 per cento superava il 3,8, quindi i due valori erano molto più distanti. La distanza tra i due parametri è minore al sud rispetto al nord ovest, così come nelle zone suburbane rispetto al centro città. Quindi al momento c’è chi paga di più rispetto al proprio patrimonio e chi paga di meno. «La sperequazione» conclude l’analisi, tende a favorire i segmenti della popolazione con maggiore ricchezza abitativa». Il voto di ieri non era per evitare più tasse per tutti, ma più tasse per alcuni.

© Riproduzione riservata