«Questo è il momento di osare, il momento dell’Italia, ora o mai più», con questa frase melodrammatica Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, ha dato appuntamento a ieri mattina per la firma del Patto per l’innovazione e la coesione sociale.

L’accordo firmato a Palazzo Chigi in effetti è a suo modo storico. Tolta l’enfasi brunettiana anche nelle parole di accompagnamento del presidente del onsiglio Mario Draghi, è stato chiarito che dovrà essere la chiave per rinnovare la burocrazia in profondità, modernizzarla, ringiovanirla, renderla efficiente e rapida nelle risposte. E questo non soltanto per migliorare la «qualità della vita» dei cittadini, tanto più essenziale in periodo di pandemia, come ha ricordato Draghi, ma soprattutto in modo da consentire di mettere a terra i progetti del piano nazionale di ripresa e resilienza, ovvero di assorbire i circa duecento miliardi del Recovery fund e innescare la ripresa economica di cui il paese ha tanto bisogno.

Non si potrà fare con uno schiocco di dita, basti ricordare che lo stato in tutte le sue articolazioni territoriali non è stato in grado di spendere neanche il 40 per cento dei fondi strutturali stanziati dall’Unione Europea negli ultimi sei anni. Lo certifica la Corte dei Conti.

Decreto in arrivo

Si dovrà cambiare passo velocemente. E quindi ecco il patto. Il testo con le firme del presidente del Consiglio Draghi e dei leader di Cgil Cisl e Uil Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri è composto di poche paginette, quasi un’introduzione. Dovrà essere tradotto dal ministro Brunetta, proprio lui, in un decreto legge che accompagnerà il Recovery plan da presentare a Bruxelles entro fine aprile.

La cerimonia della firma però ha voluto agevolargli il compito, tra l’altro attorno allo stesso tavolo ovale della sala verde del palazzo del governo di un altro patto sociale di grande portata: quello del 23 luglio del 1993, siglato dall’allora presidente del consiglio Carlo Azeglio Ciampi e dal suo ministro del Lavoro Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori, che dette avvio al periodo della concertazione. Brunetta per l’occasione ha voluto ricordare il suo passato contributo all’accordo del ’93 sulla politica dei redditi, quando ancora faceva parte insieme a Giugni del partito socialista craxiano. In linea con questo passato se stesso, ha sfoderato un profilo politico opposto rispetto a quello del suo precedente incarico nello stesso ruolo ministeriale, tanto da suscitare persino qualche ilarità sui giornali, quasi si fosse trasformato in un suo avatar uguale e contrario “alla Crozza”. Non più il Brunetta che tacciava di “fannullonismo” i 3,2 milioni di lavoratori pubblici, quando, nel quarto governo Berlusconi, ne decurtò gli stipendi in caso di malattia prolungata, ora si pone come campione del dialogo e della «coesione sociale».

Il ministro ha spiegato poi le linee guida della riforma che intende avviare «nei prossimi tre mesi» sul sito di Formez, il centro studi sulla modernizzazione della pubblica amministrazione presso la presidenza del Consiglio. Sarà lo stesso Formez, appositamente ristrutturato, a stabilire i fabbisogni di organico e i nuovi profili professionali richiesti.

Molte sono le novità che ha annunciato, si va dalla semplificazione delle procedure concorsuali a uno scivolo volontario per i dipendenti più vicini al pensionamento, tutto nell’ottica di consentire uno svecchiamento del personale pubblico, che attualmente ha un’età media tra le più alte in Europa di 50,1 anni e nel prossimo triennio perderà 300 mila impiegati per raggiunti limiti d’età.

Smart working e risultati

La formazione e riqualificazione diventerà, come nel contratto metalmeccanici, un diritto soggettivo del dipendente. Il lavoro agile o smart working, che ancora nel giugno scorso lo stesso Brunetta avversava intimando i lavoratori e le lavoratrici a «tornare in ufficio», verrà premiato in base ai risultati e non più solo al tempo impiegato. Mentre per attrarre giovani ingegneri, statistici, geologi e altri profili di competenza gestionale si annunciano assunzioni a tempo determinato con retribuzioni appetibili.

Brunetta si dice d’accordo anche a una «perequazione retributiva» dei dipendenti in servizio e indiscrezioni parlano di aumenti medi di 107 euro, oltre all’introduzione di elementi di welfare contrattuale e assicurazioni per aggirare la “paura della firma” dei dirigenti. Insomma, un Brunetta lanciatissimo.

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