«Il reddito di cittadinanza va riformato ora», dice il sindaco di Milano, Beppe Sala, nel mezzo della ondata di inflazione che sta pesando soprattutto sui bilanci delle famiglie a basso reddito, quelle che spendono una quota maggiore del loro budget per energia e beni di largo consumo.

Il primo cittadino del capoluogo lombardo che sta lavorando a una formazione nazionale «liberal-democratica, popolare ambientalista», e quindi necessariamente «di centrosinistra», elenca la riforma immediata del reddito di cittadinanza che «sul lavoro ha avuto effetti negativi» tra i quattro interventi fondamentali che servono al mondo del lavoro, assieme a regolamentare lo smart working e rafforzare la sicurezza sul lavoro; allo stesso tempo però sostiene che un patto con Confindustria nell’immediato non si può fare, perché richiederebbe troppo tempo. In perfetto stile ambrosiano Sala si affida dunque all’azione volontaria delle imprese che hanno bilanci tali da poter aiutare i loro dipendenti.

Non è chiara quale sia la ricetta per gli altri. E non è nemmeno chiara se la riforma del reddito di cittadinanza significhi semplicemente diminuire l’assegno.

508 euro di assegno

A Milano, la città dove, rivendica il sindaco, «il lavoro è uno strumento di integrazione sociale» le famiglie in cui è presente un beneficiario di reddito di cittadinanza sono 28mila, secondo gli ultimi dati Inps aggiornati a fine maggio. L’assegno medio è di 508 euro per nucleo famigliare. Si tratta di un numero minore di persone rispetto alla provincia di Torino, dove la media dell’assegno è peraltro superiore (561 euro). Il reddito di cittadinanza può essere un problema a Milano quanto il traffico a Palermo.

Il reddito di cittadinanza è una misura che ha molti limiti nel mondo in cui è stata strutturata: non raggiunge i nuclei di famiglie straniere che ne avrebbero più bisogno, discrimina le famiglie più numerose, dovrebbe essere allargata la platea diminuendo gli assegni. In più disincentiva anche al lavoro, ma non come viene raccontato. Il problema sta, infatti, nel fatto che nel passaggio dallo stato di percettore di reddito di cittadinanza a quello di lavoratore i due redditi non sono cumulabili.

I limiti

La questione è stata spiegata molto chiaramente dal comitato scientifico che mesi fa aveva proposto una riforma del reddito di cittadinanza cestinata dalla maggioranza dei partiti: oggi a un beneficiario del reddito «conviene non lavorare» perché nel momento in cui guadagna 100 euro ne perde 80 di assegno. La soluzione suggerita dagli esperti per scardinare questo meccanismo perverso era di considerare per la decurtazione dell’assegno solo il 60 per cento del reddito da lavoro fino alla soglia degli 8.174 euro per i lavoratori dipendenti e ai 4.800 per gli autonomi.

Dunque, delle due l’una: o Sala si è informato sulla questione e propone una soluzione efficace che porterebbe più soldi nelle tasche dei beneficiari del reddito di cittadinanza accompagnandoli con più efficacia nel mondo del lavoro, oppure si sta semplicemente unendo alla gran folla di politici che usa il reddito di cittadinanza come slogan di bandiera e di propaganda.

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