In Lombardia la sfida elettorale, la prima dopo la crisi pandemica, è tra quattro candidati, ma di fatto tra due modelli sanitari. Letizia Moratti, ex assessora al Welfare della giunta Fontana, corre per la presidenza sostenuta da partiti come Azione di Carlo Calenda, che a livello nazionale hanno messo al centro dei loro programmi nazionali il rafforzamento della sanità pubblica, dopo aver firmato l’ultima riforma sanitaria che conferma il modello che destra e centrodestra lombardo hanno da sempre sostenuto e che offre grandi spazi ai alle strutture sanitarie private.

Nella regione che da sola rappresenta il 22 per cento del Pil italiano, la spesa sanitaria complessiva è pari a 19, 5 miliardi, i livelli di prestazione sono molto superiori alla media, ma il sistema continua a ruotare attorno agli ospedali e in più a guardare i dati degli ultimi dieci anni, a eccezione di una flessione dovuta alla crisi pandemica, la proporzione dei fondi dirottati verso le strutture private è stata quasi sempre sopra il 30 per cento.

La Corte dei conti delinea in poche righe e pochi dati essenziali le differenze tra la struttura del servizio sanitario lombardo e quello di altre regioni comparabili per livello di servizi.

Nel 2021, si legge nella relazione dei magistrati contabili sul sistema sanitario nazionale di pochi mesi fa, su 270 milioni di investimenti nella sanità lombarda, il 96,3 per cento, circa 221milioni, sono stati realizzati da aziende ospedaliere, il 15,1 per cento dagli Irccs (gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico, che possono essere pubblici o privati), mentre le Asl hanno gestito solo 3,1 per cento della spesa complessiva, pari a 8,3 milioni.

Il confronto con Veneto e Emilia

«All’opposto», fa notare la Corte dei conti, «il Veneto, che ha effettuato investimenti per 289 milioni, di cui l’80,6 per cento, pari a 232,9 milioni, gestiti dalle Asl, il 17,9 per cento dalle aziende ospedaliere (51,6 milioni), e l’1,6 per cento dagli Ircss (4,6 milioni)». O ancora in Emilia-Romagna, gli enti sanitari hanno effettuato investimenti per 177 milioni, di cui la quota maggioritaria, il 67,8 per cento, pari a 116,6 milioni, effettuati dalle Asl, il 33,9 per cento (58,3 milioni) dalle aziende ospedaliere, e l’1,3 per cento dagli Ircss (2,3 milioni)».

Il sistema lombardo supera la media di quasi tutti i livelli essenziali di assistenza, tramite i quali viene misurato il livello della prestazione sanitaria nel nostro paese, ma anche qui se si guardano le voci singole che formano i punteggi si scopre che il punto più debole è il livello di programmi di screening oncologici organizzati, su cui ottiene un punteggio più basso della maggioranza delle altre regioni del nord e anche di diverse del centro: circa 70 contro il 100 del Veneto il 97 del Piemonte. Un altro segnale della necessità di riorganizzare la sanità sul territorio e di riorganizzazione della spesa.

I fondi diretti alle aziende sanitarie pubbliche sono formalmente la stragrande maggioranza: più di 17 miliardi, rispetto ai soli 5 milioni di spesa diretta alle strutture private. Ma in realtà dentro alla voce della spesa pubblica passano anche finanziamenti a strutture private: solo il finanziamento delle funzioni non tariffabili degli enti sanitari privati è pari a più di 115 milioni.

Solo il policlinico San Donato, uno dei fiori all’occhiello del gruppo San Donato, colosso della sanità privata della famiglia Rotelli, nel bilancio consolidato del 2021 registrava più di 587 milioni di euro di ricavi per vendita delle prestazioni in regime di accreditamento alle aziende sanitarie territoriali e quasi 188 milioni di euro di prestazioni per gli ambulatori pubblici, su un totale di prestazioni pari a circa un miliardo di euro.

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