Da cinque giorni, i cancelli della Giuliani Arredamenti, azienda di Forlì specializzata nella produzione di divani e poltrone imbottite per il colosso Poltrone e Sofà, sono presidiati da lavoratori in sciopero. Non si tratta di una protesta isolata, ma di un grido d’allarme che scuote l’intero distretto del mobile imbottito di Forlì, un settore che impiega circa 5.000 addetti, molti dei quali in condizioni di precarietà e sfruttamento.

La vicenda della Giuliani, con i suoi 150 lavoratori, getta luce su un sistema produttivo che, secondo i sindacati, si regge su un modello di sfruttamento legalizzato.

La Giuliani Arredamenti, con sede nel forlivese, è un fornitore chiave di Poltrone e Sofà, brand noto per la sua presenza capillare e le campagne pubblicitarie di alto profilo, in primis la sponsorizzazione del Festival di Sanremo.

Ma dietro i divani esposti nei negozi si cela una realtà ben diversa, secondo il sindacato. L’azienda conta ufficialmente 11 dipendenti diretti, ma nei suoi tre capannoni operano circa 150 lavoratori, in gran parte migranti provenienti da Marocco, Pakistan, Bangladesh e Cina, e assunti tramite le agenzie di somministrazione Gi Group ed Etjca.

Questi lavoratori, molti dei quali richiedenti asilo o in attesa di permesso di soggiorno, sono vincolati a contratti a termine, rinnovati all’infinito in un ciclo di precarietà che, secondo i sindacati, viola i limiti di legge sull’utilizzo della somministrazione.

«Da anni denunciamo un sistema di sfruttamento all’interno del mobile forlivese», afferma Maria Giorgini, segretario generale della Cgil di Forlì. I lavoratori denunciano turni estenuanti, salari bassi e un clima di pressione costante, con la minaccia implicita di non rinnovare i contratti, che per molti di loro comprometterebbe l’ottenimento del permesso di soggiorno.

Un sistema di sfruttamento

La Giuliani non opera da sola, ma è il fulcro di una rete di aziende terziste che riforniscono la filiera di Poltrone e Sofà. Queste realtà, formalmente classificate come “artigiane” per via del numero limitato di dipendenti (inferiore a 32), beneficiano di agevolazioni fiscali e contributive previste per il settore.

Tuttavia, secondo i sindacati, questa classificazione è un escamotage per eludere l’applicazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl) Legno e Industria, più favorevole ai lavoratori, in favore del meno oneroso Ccnl Artigianato.

L’azienda infatti si presenta come artigiana, ma la mole di produzione e il numero di lavoratori coinvolti raccontano un’altra storia, quella di un sistema che permette di mantenere i costi bassi, a scapito dei diritti dei lavoratori.

La frammentazione in piccole realtà terziste, inoltre, rende difficile l’azione sindacale: con meno di 15 dipendenti diretti, la Giuliani non è obbligata a garantire l’accesso ai rappresentanti sindacali.

Lo sciopero

Dal 14 aprile, i lavoratori della Giuliani hanno incrociato le braccia, arrivando al quinto giorno di sciopero il 18 aprile. La protesta coinvolge i 120 lavoratori precari in somministrazione, che chiedono la stabilizzazione e l’applicazione del Ccnl Legno e Industria. «Questi ragazzi, marocchini, pakistani, bengalesi, sono i veri artigiani della qualità», sottolinea Giorgini. «Sono loro a produrre i divani che finiscono nelle case degli italiani, ma vivono in condizioni di semi-irregolarità e sfruttamento».

La mobilitazione ha assunto toni drammatici. I lavoratori hanno bloccato furgoncini con vetri oscurati, sospettati di trasportare manodopera cinese per sostituirli durante lo sciopero. «Ci hanno detto che erano lì per scaricare materiale», racconta un lavoratore al presidio, «ma i sedili erano occupati. Non era materiale, erano persone».

L’episodio, denunciato dai sindacati, evidenzia la tensione crescente e il tentativo dell’azienda di continuare la produzione nonostante la protesta.

Lo sciopero non si limita alla Giuliani. Nelle aziende terziste collegate si registrano azioni di solidarietà, con lavoratori che iniziano a organizzarsi per denunciare condizioni analoghe. «Il sistema del mobile forlivese è la Mecca del mobile imbottito, ma dietro questa eccellenza c’è un modello che sfrutta migliaia di persone. Dei 5 mila addetti del distretto, la maggior parte lavora in condizioni di precarietà o semi-irregolarità».

Le richieste

I sindacati chiedono interventi immediati e strutturali. L’obiettivo primario è l’assunzione diretta dei lavoratori precari come dipendenti, con l’applicazione del Ccnl Legno e Industria. Inoltre, si chiede un tavolo regionale che coinvolga la prefettura, l’assessorato al lavoro e i consiglieri locali, che hanno già espresso solidarietà.

A livello sistemico, i sindacati puntano a una riforma del distretto del mobile forlivese. «Poltrone e Sofà deve assumersi la responsabilità della sua filiera», insiste Giorgini, che continua: «Le tariffe delle commesse devono essere congrue, permettendo ai fornitori di garantire salari dignitosi e condizioni di lavoro sicure».

La Cgil propone un modello di contrattazione che includa il committente principale, per evitare che la pressione sui costi ricada sui lavoratori.

La vicenda della Giuliani solleva un problema più ampio: la legislazione attuale consente pratiche che i sindacati definiscono sfruttamento legalizzato. Le norme sulla somministrazione e le agevolazioni per le imprese artigiane, unite alla difficoltà di sindacalizzazione in aziende con pochi dipendenti diretti, creano un terreno fertile per abusi.

«Portare divani a Sanremo è bello», conclude Giorgini, «ma se dietro c’è sfruttamento vuol dire che quel modello non va bene. Le leggi devono cambiare per proteggere chi lavora. Questo sciopero è un segnale: i lavoratori non accettano più di essere invisibili».

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