Uno dei principali meccanismi per garantire concorrenza e trasparenza nel mondo spesso opaco delle concessioni italiane è prossimo ad essere scardinato, con il benestare del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili.

Tutto nasce da una sentenza della Corte costituzionale dello scorso novembre che ha bocciato l’articolo 177 del Codice degli appalti. Era la norma del 2016, con la quale si cercava di adeguarsi all’ordinamento europeo per recuperare un po’ di concorrenza anche nell’àmbito delle concessioni pubbliche. Includendo pure quei settori che ne sono più allergici, a partire dalle autostrade.

Si era stabilito che i concessionari che non hanno mai vinto una gara (come appunto Aspi – Autostrade per l’Italia) dovessero affidare con procedure aperte l’80 per cento (il 60 per cento nelle autostrade) degli appalti per lavori, servizi e forniture superiori ai 150mila euro (in primis i ricchi contratti per la realizzazione di nuove tratte), potendo destinare direttamente a società controllate o partecipate solo la parte restante.

Nell’ambito di un contenzioso riguardante il settore delle forniture elettriche, la Consulta ha ritenuto che questa previsione fosse sproporzionata, anche perché in certi settori, come appunto quello delle forniture energetiche, gli appalti da esternalizzare rischierebbero di coprire l’intera attività del concessionario, trasformandolo di fatto in una stazione appaltante.

Sfruttare la sentenza

Un paio di settimane fa Aspi ha però utilizzato la stessa sentenza di incostituzionalità per puntellare la revoca di un appalto da 320 milioni di euro al Consorzio stabile Medil e l’aggiudicazione alla controllata Pavimental. Si riferisce a uno dei lotti per l’ampliamento alla terza corsia della A1, a Firenze.

La gara d’appalto è stata bandita nel 2018 ma da quattro anni è al centro di un contenzioso che una sentenza del Consiglio di stato, lo scorso gennaio, sembrava aver indirizzato in favore dell’aggiudicatario in pectore Medil. Fino, però, al jolly della sentenza giocato da Aspi.

«In realtà – dice Gianluigi Pellegrino, legale di Medil – la sentenza di incostituzionalità dice solo che l’obbligo di esternalizzare il 100 per cento (di cui l’80 per cento sul mercato e il 20 per cento a società partecipate) è irrazionale laddove svuota del tutto i concessionari trasformandoli in mere stazioni appaltanti. Il che non vale certo per Aspi, che nessuno obbliga ad esternalizzare anche la gestione diretta delle autostrade (bigliettazione), ma solo gli appalti di costruzione. Né la Corte dà il via libera a dare tutto a società in house, senza gara e con illecito vantaggio per quelle che operano sul mercato, col paradosso per altro di avere invece concessionari vincitori di gara obbligati ad esternalizzare il 30 per cento degli appalti. L’Europa ci punirebbe».

Il benestare del ministero

Dal canto suo Aspi spiega che «data la portata strategica dell’opera, si è ritenuto opportuno procedere, nel rispetto della normativa, all’avvio del procedimento di revoca per poter valutare altre soluzioni, tra le quali l’affidamento in house. L’obiettivo della società, nell’interesse dell’utenza, è infatti quello di sbloccare il cantiere».

Il ministero nega invece il vuoto legislativo che si sarebbe creato con la sentenza. «In parlamento – spiegano fonti del ministero – c’è una legge delega sugli appalti che affronterà i temi sollevati dalla Consulta. Ma il quadro oggi è chiaro: con la sentenza l’obbligo di esternalizzare decade e Aspi può quindi revocare. Se ne nascerà un contenzioso se ne assumerà il rischio, ma tanto l’opera si farà». L’avvocato Pellegrino ritiene infondato anche questo argomento dato che «l’impugnazione di Medil a fini risarcitori e la procedura d’infrazione bloccherebbero i lavori, aggiungendo i danni al costo dell’opera.

Si faccia sùbito o meno la terza corsia dell’A1, si sta profilando comunque uno scenario da incubo per l’utente/contribuente, dato che è colui che paga sempre per le perdite di efficienza causate dalla rinuncia a concorrenza e trasparenza. Il benestare del ministero all’interpretazione di Aspi rischia di estendere lo stesso scenario a chissà quante gare in corso e opere da realizzare, almeno fino all’emanazione di una legge ad oggi nemmeno embrionale.

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