Meno crescita del previsto e più deficit per il 2021, poi la vera ripresa solo nel 2023. Ieri il consiglio dei ministri ha approvato il Documento di programmazione economica e finanziaria e ha confermato che presenterà alle camere la richiesta di uno scostamento di bilancio da altri quaranta miliardi di euro per sostenere le imprese. Uno scostamento che il ministro dell’Economia Daniele Franco spera sia l’ultimo della serie. Nel Documento la crescita del Pil è più bassa rispetto alla previsione precedente e si ferma al 4,5 per cento, mentre il deficit sale all’11,8 per cento.

L’aumento della crescita, secondo le nuove previsioni dell’esecutivo, toccherà un picco del 4,8 nel 2022, che però ci porterà l’anno prossimo solo a «sfiorare» i livelli pre crisi, mentre li centrerà l’anno successivo. Se le stime dell’esecutivo fossero rispettate nel 2023 il Pil dovrebbe infatti crescere del 2,6 per cento. Il turismo farà da termometro: il documento prevede ancora che i flussi turistici tornino come prima solo nel 2023. Il vero indicatore della ripresa restano i vaccini e infatti nel documento del governo viene ribadito l’impegno, ma si mettono anche le mani avanti: nel caso ci fossero nuovi gap riusciremo comunque ad avere l’ottanta per cento di vaccinati e si trova spazio anche per augurarsi che in questa corsa abbiano un ruolo i monoclonali.

Gli aiuti alle imprese

L’intervento a sostegno dell’economia sarà presentato in parlamento la settimana prossima. Si tratta di un pacchetto di fondi per autonomi e partite Iva e soprattutto interventi sugli affitti e crediti di imposta per le bollette delle imprese che porterà il livello di aiuti per quest’anno al 4 per cento del Pil. Ma oltre agli aiuti diretti una delle misure più importanti è la proroga dal 30 giugno a fine anno della «scadenza del regime di garanzia dello stato», mentre verrà estesa anche la moratoria sui crediti alle pmi.

L’impatto degli aiuti porterà il deficit all’11,8 per cento e il governo prevede di abbatterlo sotto al tre per cento entro il 2025. Il Documento sottolinea che la riduzione del rapporto debito–Pil resterà la bussola della politica economica «sebbene», si legge, «il governo condivida l’opinione che le regole fiscali europee debbano essere riviste allo scopo di promuovere maggiormente la crescita e la spesa per investimenti pubblici». Il debito quest’anno raggiungerà il livello record del 159,8 per cento. L’obiettivo è farlo scendere rapidamente: le previsioni puntano a quota 156,3 per cento nel 2022, al 155 per cento nel 2023 e al 152,7 per cento nel 2024.

Trenta miliardi in dieci anni

Oltre alle cifre dei conti pubblici negli scorsi anni il Documento di programmazione economica e finanziaria conteneva anche il piano nazionale di riforme, spesso terreno di auspici più che di impegni. Quest’anno, invece, il governo lo integrerà nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, presenterà alle camere il 26 e il 27 aprile, a tre giorni dal termine per la presentazione a Bruxelles.

Il Def calcola investimenti nei prossimi cinque anni per 237 miliardi, sommando nuovi fondi al programma Next generation Eu. Ma il Def chiarisce anche meglio le cifre del Piano di ripresa: aumentano i sussidi che salgono da 65,4 a 68,9 miliardi, mentre «la stima dell’importo massimo dei prestiti si riduce da 127,6 a 122,6 miliardi». Ma soprattutto viene confermata la decisione di affiancare al Recovery plan un fondo extra da trenta miliardi di investimenti per i progetti che non vi troveranno spazio. I primi candidati sono le tratte ferroviarie come l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria di cui il piano approvato finora finanzia solo cinquanta chilometri. Curiosamente il fondo extra per gli investimenti avrà una durata decennale cioè il doppio della durata prevista dai progetti di ripresa europei. All’interno del Recovery, già 68,6 miliardi di euro, dice il Def, sono destinati a progetti di investimento «che erano già programmati». A finanziare iniziative nuove restano 54 miliardi del Pnrr.

In compenso il governo Draghi spera di varare una ampia riforma fiscale nella seconda metà del 2021. Si parte con la riforma dell’Irpef, ma il disegno è più ampio. Infatti il Documento approvato dal consiglio dei ministri spiega che la riforma «sarà collegata agli sviluppi a livello europeo e globale su temi quali le imposte ambientali e la tassazione delle multinazionali. Saranno inoltre riformati i meccanismi di riscossione».

Detto in altri termini, il governo scommette di incassare a luglio l’accordo sulla tassazione minima globale che potrebbe fare tutt’uno con la tassazione sull’economia digitale e, come previsto dai programmi di finanziamento del programma europeo, considera anche la nuova carbon tax. Considerando i numeri da vertigine dei conti pubblici ce ne è urgente bisogno.

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