Congelato anche il piano industriale, che prevede prepensionamenti o ricollocamenti. E addio alle tremila assunzioni annunciate da Urso per Catania. Il governo ancora non incontra i sindacati
È stallo in consiglio di amministrazione ad StMicroelectronics. Oltre ai problemi congiunturali, che si scaricano su di un prodotto, i microprocessori per l'auto elettrica, che in questo momento non godono di un mercato (europeo) particolarmente rigoglioso, a impaludare il presente e le decisioni future dell'azienda a partecipazione pubblica Stm, ci sarebbe un acceso scontro fra il ministero dell'Economia e delle Finanze italiano e quello francese.
La testa di Chery
Fonti vicine all'azienda, raccontano a Domani che il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti avrebbe in mente di sostituire il francese Jean-Marc Chery, attuale presidente e amministratore delegato dell'azienda di microchip, quotata e controllata in modo paritario dal Mef e dalla banca statale francese Bpifrance, con un manager italiano.
Il ministro starebbe portando avanti con una certa perseveranza il proprio obiettivo, nonostante la contrarietà dei francesi, i quali fanno notare che tra il 2005 e il 2018 i ruoli di vertice erano stati affidati a un italiano, Carlo Bozotti e, prima di lui, la società era saldamente in mano a un altro italiano, Pasquale Pistorio.
Dunque, i francesi della Caisse des dépôts, che controlla Stm, non cedono di un passo e ogni decisione in consiglio di amministrazione è congelata. Giorgetti, per altro, non avrebbe i numeri per pretendere alcunché, essendo il cda composto da nove membri, tre francesi, tre italiani e tre indipendenti. E persino fra i consiglieri italiani ci sarebbe qualche perplessità rispetto alle volontà del Mef. Questione di poche settimane, però: perché sempre il ministero starebbe cercando nuovi profili, più affini alla linea del governo, da proporre in occasione dell'imminente rinnovo delle cariche, che avverrà all'assemblea di maggio.
La class action
È pur vero che, sulla testa di Jean Marc Chery, in queste giorni, è piovuta una class action depositata il 21 gennaio alla corte del distretto meridionale di New York da parte di alcuni investitori di StMicroelectronics, che accusano la società di aver rilasciato delle dichiarazioni fuorvianti sui risultati economici, nascondendo il peggioramento del mercato dei semiconduttori, specialmente sul fronte delle prospettive di vendita delle auto elettriche.
Nella class action sono state allegate le testimonianze anonime di alcuni ex dirigenti di Stm, fra cui un dirigente della divisione Automotive, composta principalmente da italiani. Tale divisione, per altro, è stata eliminata l'anno scorso, all'interno di un piano di semplificazione della società. Una mossa che ha rafforzato la percezione del governo italiano di uno sbilanciamento delle decisioni a favore della Francia.
Dunque, a quanto risulta a Domani, dal Mef sarebbe partita la richiesta di un cambio in corsa dell'amministratore delegato, naturalmente in scadenza alla fine del 2027. Va però detto che i risultati ottenuti da Chery negli anni addietro sono importanti e positivi, specialmente sul fronte dei ricavi e della tenuta occupazionale, specie se paragonati alla concorrente tedesca Infineon Technologies Ag che ha dovuto far fronte a pesanti perdite e tagli del personale, cominciati già un anno fa.
La crisi industriale
Nodi (di crisi) che, in questi giorni, stanno venendo anche al pettine di Stm. Giovedì 20 si è svolto a Catania un incontro sindacale interlocutorio: «L'azienda ha confermato l'esistenza di un piano di tagli e non ha ancora illustrato in modo chiaro il piano industriale che, nei prossimi cinque anni, dovrebbe mettere in condizione l'azienda di raggiungere gli obiettivi economici che il ceo Chery dichiara ai mercati», dice Barbara Tibaldi della Fiom Cgil a margine dell'incontro. Durante il vertice, i capi aziendali hanno smentito le voci di un taglio programmato del sei per cento della forza lavoro nel mondo, ma hanno confermato un confronto in atto con le organizzazioni sindacali francesi per uscite in prepensionamento di quadri e dirigenti.
Piani in ritardo
A quanto risulta a Domani, alla luce dello stallo al vertice, anche il piano industriale e di ristrutturazione sarebbe in ritardo. Si sta però valutando l'accompagnamento alla pensione o l'avvio di un ampio piano di riqualificazione per la forza lavoro in eccesso: gli esuberi dipendono dall'elevato livello di automazione raggiunto nei nuovi impianti realizzati sia ad Agrate Brianza, sia a Catania.
Ad Agrate, che si trova alle porte di Monza, il piano sarebbe quello di chiudere lo stabilimento di produzione dei wafer da 200 millimetri, per fare largo alla produzione automatizzata di quelli da 300 millimetri, più potenti e performanti, perché consentono di ricavare 600 processori da dieci millimetri. A Catania, invece, sempre a quanto risulta a Domani, sarebbe saltato il cofinanziamento del governo italiano per la realizzazione del nuovo impianto industriale, su un terreno acquistato da Stm.
Questo spiegherebbe anche le perplessità del sindacato rispetto al piano annunciato tempo addietro di nuove assunzioni: «Il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, circa un anno fa aveva annunciato importanti investimenti per la sede di Catania. Aveva parlato di tremila nuove assunzioni, l'azienda aveva poi rivisto quella cifra a “oltre un migliaio”. Si era poi parlato di 700 dipendenti a regime almeno per l'impianto già realizzato. Attualmente gli addetti sono 400», spiega Tibaldi che, in accordo con le altre sigle sindacali ha chiesto una convocazione ufficiale al ministero e chiarezza sulle prospettive prima di parlare di tagli.
Un anno fa il ministro Urso, in pompa magna, aveva puntato tutto sulla rinascita di Catania e sui progetti di espansione, oggi invece il management parla di conversione: chi lavorava sugli impianti di produzione di wafer di silicio, passerà a quelli di carburo di silicio, senza alcun aumento occupazionale. Lo stesso processo di conversione è atteso ad Agrate. Mentre un anno fa il ministro ci aveva messo la faccia per annunciare le buone notizie, stavolta i sindacati non ricevono risposta dal ministero e restano in attesa di una convocazione al tavolo del Mimit.
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