Da chi arriva il cobalto di Stellantis? Il metallo è fondamentale per far funzionare il catodo nelle batterie dei nuovi veicoli elettrici, ma è anche il materiale più controverso nella filiera della transizione energetica. Più di due terzi delle forniture globali arrivano dalla Repubblica Democratica del Congo, dove viene estratto non solo nelle grandi miniere ufficiali a controllo cinese, ma anche da una fitta rete di scavi artigianali, dove lavorano bambini in condizioni di semi-schiavitù e costante pericolo per la salute.

Nel corso degli ultimi anni la filiera sporca del cobalto ha messo in difficoltà reputazionali e legali colossi come Tesla, Apple, Microsoft, Google. Ora il riflettore si sposta sul gruppo che controlla l'ex Fiat e sulla trasparenza nella sua catena di approvvigionamento del cobalto.

Ad aprire il tema è una rete di ventuno associazioni e organizzazioni non governative italiane che lavorano in Africa (tra cui Focsiv, Time for Africa, Chiama l'Africa, Nigrizia), rappresentate dagli avvocati Veronica Dini e Luca Saltalamacchia.

Quest'ultimo è il fondatore di Rete legalità per il clima, un network di ricercatori e giuristi che agiscono per conto di cittadini e associazioni nei confronti di istituzioni (sono loro ad aver fatto da consulenza alla causa Giudizio Universale contro lo Stato italiano per inadempienza climatica) e imprese.

La battaglia legale 

«Da tempo ci arrivano segnalazioni dal campo di diverse Ong che lavorano in Congo ed è per questo motivo che chiediamo con forza a Stellantis chiarimenti e dettagli sui loro fornitori di cobalto», spiega Saltalamacchia.

Il primo passo è stata una lettera amichevole, alla quale è seguita una diffida, presentata lo scorso novembre. «Ci hanno risposto di essere al corrente delle criticità della filiera cobalto e ci hanno rimandato al loro Bilancio di sostenibilità, dove però le informazioni sono vaghe e generiche».

Il passo successivo è quello che avviene oggi: gli avvocati presenteranno, per conto delle Ong, un'istanza nei confronti di Stellantis al Punto di contatto nazionale per il rispetto delle linee guida Ocse destinate alle multinazionali.

Il punto di contatto è uno strumento di mediazione che i rappresentanti dei cittadini hanno nei confronti delle aziende per verificare il rispetto delle linee guida sui diritti umani e il rispetto dell'ambiente. Si trova presso il Ministero dello sviluppo economico che quindi, una volta presentata l'istanza, si trova nella posizione di ufficiale tra Stellantis e le richieste delle associazioni.

È lo stesso strumento scelto un mese fa dai movimenti per il clima ed Europa Verde per contestare la sostenibilità del nuovo piano industriale di Eni.

In questo caso il tema centrale dell'istanza è la trasparenza. A Stellantis, ultimo anello della catena del cobalto, non viene contestato alcun illecito (anche perché l'Europa sta ancora lavorando alla sua Battery Regulation).

Le associazioni che osservano da testimoni diretti la tragedia sociale, sanitaria ed ecologica del cobalto in Congo chiedono al gruppo automotive di dimostrare che nelle nuove batterie (presto prodotte in Italia con la conversione in gigafactory della fabbrica di Termoli) non ci siano violazioni dei diritti umani, lavoro minorile e devastazione ambientale.

Stellantis ammette

Nell'ultimo Bilancio di sostenibilità, Stellantis ammette le criticità del materiale cobalto, alla quale risponde con un impegno in ricerca e sviluppo per individuare delle alternative e una due diligence nei confronti dei fornitori.

Il partner scelto da PSA (il gruppo fuso con FCA per la creazione di Stellantis nel 2021) è la RCS Global, specializzata nelle verifiche della sostenibilità dell'estrazione mineraria. A oggi sappiamo che RCS ha identificato per conto di Stellantis 138 soggetti diversi coinvolti nel viaggio dalla miniera alla batteria, ha svolto 23 controlli sul campo e promosso 19 piani correttivi. Stellantis sostiene di essere in una buona posizione per identificare rischi per il rispetto dei diritti umani nella catena del valore, qualora dovessero essercene.

«Al momento riteniamo che consumatori e azionisti non siano in condizioni di sapere se Stellantis abbia davvero una filiera sostenibile per il suo cobalto, se fa davvero tutto quanto in suo potere per identificare, prevenire e ridurre le violazioni dei diritti umani», spiega Saltalamacchia. «Nel Bilancio di sostenibilità non c'è niente, a parte le buone intenzioni. Ci chiedono di fidarci sulla parola. Alla domanda diretta: "Da chi vi rifornite per il cobalto?" non ci hanno ancora mai risposto».

Lo strumento legale dell'istanza al Punto di contatto Ocse non prevede né obblighi né eventuali sanzioni, è uno strumento di pura mediazione, per fare pressione politica e mediatica.

«Un esito potrebbe essere che l'OCSE chieda a Stellantis di presentare la lista dettagliata dei suoi fornitori di cobalto, a quel punto la situazione si farebbe interessante. Non sarebbero infatti obbligati a rispondere, ma come spiegherebbero una tale mancanza di trasparenza agli azionisti?»

La produzione di cobalto

Spinta dalla domanda di batterie necessarie per transizione energetica, la produzione di cobalto ha raggiunto un picco di 170mila tonnellate in 2021, secondo i dati US Geological Survey, l'ente di riferimento in materia. Si tratta di un aumento del 20 per cento rispetto alle 142mila del 2020. I principali fornitori globali sono la Repubblica Democratica del Congo (70 per cento del totale), Russia e Australia.

I prezzi sono saliti nel 2021 del 119 per cento (anche se nel 2022 hanno visto una leggera discesa) e il mercato rimane dominato dai colossi cinesi, che vendono l'80 per cento del cobalto raffinato da utilizzare nelle batterie.

La domanda continuerà a crescere fino 2025, anche se lo scenario è contraddittorio e dipende in buona parte dalla capacità di innovazione tecnologica dei produttori di batterie, che stanno spingendo sulla ricerca di modelli che riescano a garantire le stesse performance riducendo o addirittura annullando la presenza di cobalto, proprio in virtù dalla complessa sostenibilità della filiera.

Il problema è che il materiale di elezione per sostituire il cobalto è il nichel, un mercato dove la presenza russa è molto forte e che è tra quelli sconvolti per costi e prospettive dall'invasione in Ucraina. 

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